24 ottobre, 2018

GENGIVE

Puoi affinare quanto ti pare tecniche per tenere a bada l'ansia, le emozioni, le paure ma ci sarà sempre una parte del tuo corpo che, magari in modo impercettibile, ti tradirà davanti al tuo interlocutore.

Io, ad esempio, ho le gengive!

Quelle stronze sono sempre state eccessive. Pretendono di comparire in ogni mio sorriso e si mostrano svergognate in combutta con il resto della bocca. Infatti devo avere la mandibola snodata e molto competitiva perché ad una gara di ampiezza di morsi ad una fetta di pane ho vinto a pari merito con un tizio alto un metro e novanta che ha pure una enorme bocca. Molto più grande di quella di Julia Roberts per intenderci, mentre la mia, da fuori, sembra minuscola! (Con l'occasione mi sono inavvertitamente morsicata le guance e tagliata agli angoli).
Non sarebbe un problema se non ridessi spesso. 'Voglio la dada che ride', disse una mamma chiedendo di me alla segretaria della piscina… Un sorriso caratterizzante perché quando rido è piuttosto evidente. E mi succede spesso. Se poi lo unisco al resto della mia personalità, divento uno strano personaggio e non passo inosservata. Quella 'strana': che potrò mai avere da sorridere tanto in questa valle di lacrime!

Ad ogni modo, il problema più imbarazzante è quando sono emozionata. Evidentemente mi disidrato e succede una cosa orrenda: pian piano, mentre parlo e sorrido mi si asciuga la saliva a tal punto che mi ritrovo… il labbro superiore arrotolato in cima alle gengive, come una tapparella, incapace di scendere se non srotolato manualmente o facendo delle smorfie.

Succede gradualmente: all'inizio sento che il labbro scorre male sulle gengive, la bocca è leggermente asciutta ma parlare è ancora possibile.

Poi inizia ad incepparsi, solo da un lato, mezzo labbro su e mezzo giù, come ho visto succedere forse ai cani qualche volta. Infine non scende più del tutto e mi ritrovo a usare i muscoli della faccia per biascicare le parole in un indicibile imbarazzo.

Comunque sempre meglio di quando mi veniva un attacco di diarrea...


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NEL SILENZIO

Ore passate nel silenzio a riascoltare quanto detto, nella preoccupazione di aver ferito, di non aver capito, nel dolore di aver sbagliato. Così non dormo. Il silenzio è solo intorno, dentro le voci si accendono. Chiudo gli occhi -arriverà lo sfinimento?- ma quelli si riaprono dentro: è ancora come di giorno, le luci, le persone, ogni cosa si ripete. Vorrei accettare ciò che è accaduto, domani farò diverso, adesso ho sonno. Impossibile dormire, prima devo rivivere tutte quelle storie.

All’inizio sospiro, non le sopporto, ho troppo sbagliato! Ma ad ogni rivisitazione, gli errori pian piano prendono posto nella mia comprensione, si allenta la tensione e solo dopo molte passate, succede, finalmente, di dormire.

Il mattino arriva presto e non c’è più modo di riposare: di giorno non ci sono scuse, è vietato lasciarsi andare. Solo per un film o un libro ma senza veramente dormire.

Tutto inizia quasi ogni sera, dopo cena e solo dopo essermi distratta: allora mi addormento per caso sullo scomodo divano, mentre sono arrotolata dentro ad una coperta e appoggiata a qualcuno. E’ un sonno perfetto. Appena resto sola però mi sveglio perché dentro si accorgono che è notte e di quel vuoto nel silenzio.

Così cominciano a parlarmi per riempirlo e io non so fare altro che ascoltarli. Passano le ore, in mezzo a quella folla di persone e ascolto e riascolto le nostre parole e tutte quelle storie…


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04 ottobre, 2018

CORAGGIO!

Da piccola ricordo di aver desiderato disperatamente per qualche tempo la bacchetta magica per poter fare tutte le magie che mi pareva. Un breve delirio stimolato dai cartoni animati e forse dall'inconscio che chiedeva i rinforzi. 

Fatto i conti col principio di realtà, me ne sono fatta una ragione di non poterla avere ed ho poi capito in seguito di essere stata comunque molto magica nella mia infanzia: sapevo vedere la bellezza intorno a me, avevo una fantasia, una vitalità e una gioia traboccanti e con esse ricoprivo ogni cosa. 

[La realtà 'nuda e cruda' come alcuni pensano di vederla, non so neppure se esista davvero o se sia pure quella una magia, ma di altra natura. Non a caso, ognuno vede le cose a modo proprio e le stesse 'tragedie' determinano vissuti e conseguenze molto diversi tra loro]. 

Purtroppo nella mia famiglia c'è stata una grande richiesta della mia magia che deve essere stata vista come una piccola miniera di tesori (gioia, vitalità, bellezza, nuovo inizio, nuova vita, crescita, appunto!) e che hanno sfruttato però senza criterio, esaurendola in fretta. 

Un dono inaspettato. Una riserva di vita inaspettata: accolta con sorpresa in mezzo ai sopravvissuti, sono stata depredata, svuotata e accantonata. Qualcuno mi ha pure rinfacciato di non risplendere più molto, di essere diventata opaca, dopo tutto l'investimento affettivo che avevo ricevuto. Che ingrata!

A lungo ho arginato il panico furibondo di mia madre, placandola; e non sono raggelata di fronte alla fredda razionalità di mio nonno, addolcendola. Ma ogni dinamica, ogni problema familiare ha continuato a riproporsi, sempre, fino alla fine, senza soluzione. Ho così interiorizzato di non essere abbastanza. Per molto tempo ho mantenuto un magico equilibrio per me stessa e per gli altri intorno ricevendo indietro solo disprezzo. 

Fatto sta che riconosco di essere stata magica, un tempo, perché ad oggi le magie non mi riescono più tanto bene e le sbaglio spesso. Vedo 'male' dove non ce n'è neppure molto e 'bene' ormai raramente. Come avessi consumato precocemente un potere senza riuscire a rinnovarlo opportunamente. 

Sono stata costretta così a lungo a sopportare 'per amore' cose che mi facevano male che ad un certo punto ho smesso di lottare, sono fuggita e mi sono nascosta. 

Adesso vivo come una rifugiata. Come mia nonna che, dopo essere sopravvissuta alla guerra, alla fame, alla morte e alla disperazione, ha vissuto il resto della vita in una calma placida e apparente, rinunciando a sé stessa pur di non iniziare, 'disarmata', nuove battaglie. In un certo senso ha continuato a lottare, come poteva, certo: ora per i diritti dei lavoratori, ora per quelli delle donne magari, ma non per sé stessa, visto che aveva creduto di non valerne la pena, rifiutando lavori di maggiore responsabilità e prestigio e lavorando sia fuori che a casa come da una donna ancora ci si aspettava. 

Certe battaglie si fa prima a combatterle per gli altri che per sé stessi, soprattutto quando ci hanno fatto credere di essere delle schifose, maledette e tremende quando invece siamo preziose, intelligenti e molto coraggiose.

Si arriva ad un punto che il desiderio di tregua supera qualunque altra ambizione e, una volta ottenuta, percependo lo svuotamento interiore, si rischia di non sapere più come e da cosa ripartire.

Il coraggio nella mia famiglia si è spesso consumato troppo in fretta e il resto della vita si è finito poi per passarla alla finestra...

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