28 settembre, 2017

PAUSA EDIPICA

THE END


(EN)
« The killer awoke before dawn, he put his boots on,
He took a face from the ancient gallery
And he walked on down the hall
He went into the room where his sister lived, and... then he
Paid a visit to his brother, and then he
He walked on down the hall, and
And he came to a door and he looked inside
Father? Yes son? I want to kill you
Mother, I want to... »
(IT)
« L'assassino si svegliò prima dell'alba, si infilò gli stivali
Prese una maschera dall'antica galleria
E camminò lungo il corridoio
Entrò nella stanza dove viveva sua sorella e poi
Fece visita a suo fratello e poi
Proseguì lungo il corridoio
E giunse a una porta e guardò all'interno
Padre? Si figliolo? Voglio ucciderti
Madre, voglio... »
(The EndJim Morrison)
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CARTOLINA DALL'ADOLESCENZA

Germania 19**
L'ultima notte, dopo la festa. Ancora non mi rendo conto o forse è stato solo un sogno... "Welcome to the real world" -un poster della Nike nella mia camera- e ora me ne sto andando, ci sono solo passata attraverso e non mi rimane che il ricordo. Ho fatto tante cose che ho sempre sognato come se avessi vissuto per la prima volta. Mi mancate! Sono gelosa di quello che mi è successo, è come se stessi cercando di nascondermi. Forse dovrei proprio nascondermi. Sono confusa, sconvolta...non abbastanza...direi che avrei potuto fare di meglio. Ho bevuto un whisky cream, due batida de Coco ed ho scoperto di reggere l'alcool. Oddio, bisogna vedere stanotte. Mi fa male pensare, basta!!! Vorrei avere la testa vuota e non star male. Ho fatto caso alle diversità: alcune le ho apprezzate, altre no. Pensavo di rinnegare ogni tipo di vincolo ma, forse, in fin dei conti, a qualcosa bisogna appartenere...per riconoscersi. E allora penso al suonatore di strada, chiudo gli occhi...la musica, il freddo, il profumo...sono a casa!

'Mi mancate' perché non ci siete mai stati. 'Sono gelosa' perché temo che mi portiate via anche questo. 'Dovrei nascondermi' per proteggermi da voi. 'Sono a casa' dappertutto e in nessun posto perché mi manca il senso, della vita, di appartenenza.

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LA GRANDE PAURA

La storia della mia persona
è la storia di una grande paura
di essere me stessa,
contrapposta alla paura di perdere me stessa,
contrapposta alla paura della paura.
Non poteva essere diversamente:
nell’apprensione si perde la memoria,
nella sottomissione tutto.
Non poteva
la mia infanzia,
saccheggiata dalla famiglia,
consentirmi una maturità stabile, concreta.
Né la mia vita isolata
consentirmi qualcosa di meno fragile
di questo dibattermi tra ansie e incertezze.
All’infanzia sono sopravvissuta,
all’età adulta sono sopravvissuta.
Quasi niente rispetto alla vita.
Sono sopravvissuta, però.
E adesso, tra le rovine del mio essere,
qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire.
[di Piera Oppezzo...e pure un po' mia!]

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ANCHE UN PO' MENO SPASTICA!

Al corso da bagnino c'erano mezzi atleti, diversi pallanuotisti, le sincronette e gente come me.

Faccio combriccola con un paio di ragazze e insieme ci sosteniamo a vicenda. Consapevoli delle nostre lacune decidiamo di trovarci per allenamenti supplementari: per l'apnea, per i tuffi e per esercitarci nel recuperarci.

Facciamo molti progressi ma dal confronto con tuffatrici semi-professioniste e stacanovisti del galleggiamento, usciamo sempre un po' insoddisfatte.

Arriva il giorno dell'esame: sono tutti un po' tesi; io e le mie amiche somatizziamo dolori di vario genere e salivazioni strane ma ci siamo allenate tanto che ormai rispondiamo al via come degli automi.

Ci osserviamo in silenzio: una di noi fa una respirazione strana, l'altra la copia, sembra funzionare! In realtà -scopriremo poi- la prima stava deglutendo a fatica un po' ansiosa. Passa l'istruttore che dopo tutto il corso ci conosce bene: sorride, 'ANCHE UN PO' MENO SPASTICA!' -le dice- e poi la invita a posizionarsi ai blocchi di partenza. Ci guardiamo tutte e tre, ridiamo e cala la tensione. La 'spastica' sta per partire, l'altra mi si avvicina e divertite constatiamo che quella non era una tecnica per concentrarsi: stava solo cercando di non affogarsi!'.

L'esame va alla grande: quanta suggestione.

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27 settembre, 2017

IO E BRUCE SPRINGSTEEN


Da piccola mia madre ascoltava musica di tanto in tanto mentre si occupava di qualche incombenza domestica.

Mi sono sempre rammaricata di non avere avuto qualcuno capace di accompagnarmi nella vita, capace di farmi sentire di appartenere ad una famiglia, ad un luogo, ad una storia, di farmi sentire radicata in questo mondo...ma, facendo molta attenzione, qualcosa ho avuto e tanto mi deve bastare.

Ho questo bel ricordo di lei che ascoltava Bruce Springsteen a tutto volume e cantava e ballava e dichiarava tutto il suo amore per lui. Una visione.

Io per l'emozione di sentirla di buon umore e così sentimentale ho accolto nella nostra vita Bruce Springsteen come fosse il mio vero padre.

Una parte di me sapeva la verità, l'altra ha vissuto il suo sogno fino in fondo: ero la figlia di una rock star! Questo spiegava la sua assenza: era in tournée in giro per il mondo ma presente nella nostra allegria.

L'inganno ha funzionato così bene che sono riuscita a raccontare questa verità a dei ragazzini che mi hanno creduta.

Avevamo le cassette Nebraska e Born in the U.S.A... Più che per la sua musica, apprezzo Bruce Springsteen per l'allegria di quei momenti.


BORN IN THE U.S.A.

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26 settembre, 2017

ASHA

Indore, Gennaio 19**
Cara amica,
non è importante se la situazione è oggettivamente migliore, quanto il modo in cui tu l’accetti e, al momento, d’importante ci sei tu e il bimbo che sta per nascere. Se il rapporto con Lui migliorerà, sarà bene, altrimenti tu hai, ancor più di prima (secondo me), la tua vita da vivere e da rispettare.
Non si tratta di retorica, si tratta di pensare che, come mi avevi detto qui, il figlio lo volevi e, verso di lui, hai delle responsabilità di affetto e tenerezza.
Dagliele. Dipende da te per diventare uomo o donna e per ripagarti con la stessa cosa, l’affetto, che tu ora gli darai.
Penso debba esserci ora, forte di ciò che stai per avere, una scelta non dettata dalla debolezza ma dall’orgoglio. Sii orgogliosa di te, di essere madre, del tuo bimbo. Comportati sì da essere orgogliosa di te e che il tuo bimbo lo sia, e lo sarà, perché sei una ragazza sensibile, matura e puoi fare delle scelte, anche se dolorose.
Non tentennare. Sii felice. Essere felici vuol dire accettare la vita e accettarsi. Non lottare contro di essa.
Se bimba, qualunque nome tu scelga, sarà per me Asha (Speranza).

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20 settembre, 2017

TEMI DIFFICILI ALLE ELEMENTARI:

3) IL TUO CANE.

Io non ho un cane però. Così mi dicono di immaginare come mi comporterei se ne avessi uno.

Andando a ripescare nella memoria, ricordo che c'è stato un cane* nella mia famiglia che era morto quando avevo 6 anni. Era una bestia terrificante: taglia piccola dall'aspetto sgraziato, denti aguzzi, un incrocio inquietante dalla voce stridula o rauca a seconda di quanto intensamente la esercitasse e con i nervi sempre tesi. Abbaiava continuamente e frequentemente nelle mie orecchie. Ringhiava il resto del tempo.

Ho una foto con lui in cui tengo una manina sulla sua schiena per volontà estetica del fotografo, mio nonno, lui è girato verso di me e ricordo perfettamente il messaggio nel suo sguardo: 'tienila un secondo di più e te la stacco'.

Durante il tema, ricordo che ho ripensato a Bobo e a quanto le nostre interazioni fossero limitate: lascia stare il cane! Perciò nessuno dei due interagiva più di tanto con l'altro, lui dall'alto della sua intoccabilità e io dal basso della mia paura. Accompagnavo semplicemente il nonno nelle quotidiane passeggiate per fargli fare i bisogni cosicché nel frattempo 'passeggiavano' anche me. Onestamente non trovavo molto emozionante avere un cane poiché il tutto si riduceva a guardarlo pisciare spavaldo ogni dieci passi o vederlo cagare con quell'espressione da vulnerabile bastardo che aveva solo in quei momenti. Al mangiare poi pensava mia nonna che cucinava anche per lui e anche solo allungargli la ciotola per me era motivo d'ansia. Poi ognuno andava nella sua cuccia.

Attacco il tema: se avessi un cane mio...ci giocherei moltissimo e poi andrei fuori col nonno quando lo porta a fare la passeggiata e guarderei mia nonna mentre gli prepara da mangiare pronta a portagli la pappa.

La maestra sgomenta mi chiama alla lavagna.

'Ma questo non è il tuo cane (stupida!). Questo è il cane dei tuoi nonni (ma dove vivi tu, disgraziata, eh?!)!'. E comincia una filippica su come ci si dovrebbe comportare con un cane, tutte le responsabilità che comporta, che non è solo un divertimento, che IO dovrei dargli da mangiare, IO dovrei portarlo fuori, raccogliere la sua cacca, ecc.

E io replico: 'Ma io sono una bambina e a me non mi fanno uscire da sola o cucinare, come faccio ad occuparmi di lui? Io vorrei giocarci con il mio cane. Ecco. Tanto non me lo prendono, abbiamo sofferto troppo quando è morto quello vecchio'.**

Ma non importa. La maestra, che non amava i bambini viste le urla continue e le umiliazioni a cui li sottoponeva di frequente, evidentemente sapeva tutto di come prendersi cura di un cane e ci teneva a formare nello specifico dei bravi padroni del domani più di quanto non tenesse allo sviluppo globale di noi come persone. 

'Rifare!', strilla l'arpia.***

*[Il cane era di mia madre che lo aveva sbolognato ai miei nonni così come ha poi fatto anche con me].

**[Quante informazioni sulla vita di un bambino, in poche parole, a volerle ascoltare].

***[Io ho sofferto troppo nel vedere soffrire i miei nonni e nell'immaginare gli occhi di Bobo colmi di lucida consapevolezza della morte imminente, mista a dolore, pena e gratitudine, descritta come solo i vecchi sanno fare con dovizia di particolari e lacrime dopo che lo hanno portato a far sopprimere perché ormai paralizzato dai dolori. In casa mia non erano in grado di preoccuparsi delle emozioni di un bambino. Se esposti precocemente a certe immagini di sofferenza, quelle poi faranno parte di noi per sempre. Non avevo certo bisogno di venire sensibilizzata da quella scema colma di livore].

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17 settembre, 2017

DENTRO ALLA VITA

E' come se fino ad oggi avessi surfato alla bell'e meglio sulla schiena dell'onda e adesso ne fossi stata travolta e mi trovassi dentro a quella magnificenza, trattenuta e respinta, affascinata da quella immensa potenza e preoccupata di non sapere se avrò aria a sufficienza.

Forse ho solo scoperto chi sono e non mi dispiace rimanere un po' da sola con me stessa. 

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16 settembre, 2017

TERMOMETRO A MARE

A 24 anni imparai a nuotare. Nuotai quasi tutti i giorni per diverso tempo. Ero ancora impressionabile ma tecnicamente preparata.

Avevo fissato a lungo il mare profondissimo dagli scogli immaginando la liberazione che avrei provato se ci fossi entrata dentro. Un oceano di emozioni mi aspettava. Ero bloccata in quella vita sbagliata e dovevo mettermi alla prova.

Non passò molto tempo che mi lasciai andare. Entrai piano nel mare e sopravvissi all'emozione. La vastità di quel mondo sconosciuto finalmente era a mia disposizione.

E se mi ero liberata da qualcosa, forse avrei potuto liberarmi ancora.

Secondo l'istruttrice di nuoto dei primi tempi era chiaro che con la mia paura dell'acqua non sarei mai stata in grado di nuotare in acque profonde, figuriamoci andare sott'acqua. Ma io sapevo cosa fare ed ebbi ragione. Feci moltissime immersioni, nel blu, sempre più giù.

Nella vita certe cose bisogna farle senza chiedere conferme. Quella fu la prima evidente dimostrazione che in qualche modo conoscevo me stessa.

Ancora oggi il mare mi aiuta a capire: se vicino a lui mi viene voglia di nuotare forse è tutto a posto e se mi sento irrequieta ed ho voglia di indietreggiare forse devo lavorare su me stessa.

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14 settembre, 2017

IL VIAGGIO DEL PICCOLO ENEA

Ha tre anni, è il più piccolo del gruppo ed è inibito dalla grande confusione che fanno tutti gli altri. Vorrebbe uscire, così è troppo, non ha ancora scoperto certe parti di sé stesso.

Un giorno, mentre gironzola un po' spaesato nella confusione degli altri scalmanati, qualcosa cattura la sua attenzione. Per lui e per me che lo osservo, nella stanza si spegne l'audio e tutto il resto si sfuoca.

Enea raccoglie una carta di caramella e inizia il suo viaggio come se una rotta precisa fosse disegnata sul pavimento.

Evidentemente protetto dagli Dei per il suo coraggio e la sua determinazione, evita i bambini volanti, ne scavalca pure di grossi distesi a terra e passa in mezzo ad altri ammucchiati, schiva senza preoccuparsene i materiali lanciati della seduta e arriva, miracolosamente illeso, al cestino.

Ormai sicuro, molla la carta e la osserva cadere. Questa per il vento apparente creato dal moto perpetuo degli altri, si sposta e si infila in uno stivale di adulto lì a fianco.

Senza fretta lui affonda tutto il braccio per recuperarla e stavolta la deposita sul fondo del cestino.

Poi sorride soddisfatto, si strofina le manine e torna nel gruppo un po' più grande.

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LEGATO MA LIBERO

Chiudo il cerchio e me ne vado. Dopo 10 anni riesco ad emanciparmi emotivamente dal mio primo moroso.
Il turbamento di essere sopravvissuta al soffocamento mi spinge a ricercare fisicamente l’aria, la luce e il movimento.
Incontro un uomo più grande di me, un istruttore…e assecondiamo la sfumatura transferale della nostra relazione. Mi dice che è sposato e che gli è già capitato.
Per una frazione di vita, spinti dall’istinto a ricercare vicinanza, tenerezza e consolazione, ci siamo solo noi, in una vivida illusione.
Persino le vicende più deprecabili hanno un senso. Vivere i miei sbagli mi ha aiutato a capirmi e a capire meglio gli altri e il loro scompenso.
Chi giudica severamente, a distanza di sicurezza, lo fa perché fragile, insicuro e bisognoso di certezza.
Mi presta “Legato ma libero” di P. Berhault, metafora della sua condizione e dei suoi sogni. Ma la libertà, imparo più avanti, è quando non dipendiamo dai nostri bisogni.
Ha conservato una mia lettera nel portafoglio. Molti anni più tardi sua moglie la trova, cerca nella rubrica e mi chiama. E’ morto in montagna. Parliamo. Ci capiamo.
La vita, più o meno difficile da interpretare, rimane sempre imprevedibile, nel bene e nel male.


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08 settembre, 2017

PAUSA ESISTENZIALE

Olivya in Dolomiti

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07 settembre, 2017

FUGA DA ALCATRAZ

Sono cresciuta in una città della costa tirrenica. D’estate, quando non riusciva ad andare via col suo uomo, mia madre mi portava con sé al mare.
Il suo posto preferito era una remota spiaggia di ciottoli dell’isola P., all’epoca raggiungibile con un guado o inerpicandosi dall’attracco su per un esposto sentiero.
Partivamo col primo barcone del mattino e rientravamo con l’ultimo. Arrivavamo che c’erano solo i gabbiani e non è che dopo arrivasse poi molta gente: 8h di noia assicurate per una bambina abbandonata a sé stessa fin da piccola, che aveva paura dell’acqua e che non aveva melanina. In quelle occasioni mi venivano fatte poche raccomandazioni perché una volta rimasta da sola con le mie paure, sapeva che a badarmi sarebbe bastato l’istinto di conservazione. Non esisteva via di fuga da quel posto maledetto.
L’unico luogo riparato era la pineta ma per ovvie ragioni puzzava di merda così non mi addentravo mai troppo. Talvolta mi addormentavo rimanendo al sole troppo a lungo e tornavo a casa ustionata, con un mal di testa feroce e mia madre che mi insultava.
Raggiunta l’età per stare in casa da sola, dissi finalmente addio ad ‘Alcatraz’. Riscoprii con gioia il mare molto dopo.

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06 settembre, 2017

...E ANDARE AVANTI (3°PARTE)

…nonostante tutto, la mia parte lucida ha continuato a cercare aiuto.
Istintivamente mi sono mossa, seppure lentamente, nella direzione dei miei desideri.
Ho osservato le famiglie sufficientemente buone che incontravo e mi sono circondata di amici veri, cercando di imparare da loro tutto ciò che potevo e che non mi era stato insegnato in casa, dove persino le cose più ovvie mostravano lacune o anomalie.
Ho cercato di scoprire chi sono e piano piano ci sono riuscita.
Ho sofferto tanto l’abbandono dei miei genitori che non hanno avuto nessuna pietà nei miei confronti.
Mio padre ha facilmente rinunciato a me per poi farsi immediatamente l’ennesima famiglia nuova con la quale ricominciare la sua recita nascondendosi dietro una articolata impalcatura di apparente normalità, impegnato a nutrire il proprio narcisismo e autocompiacimento, come se la vita fosse uno stupido gioco senza regole.
Mia madre, persona debole, fragile e cattiva, ha cercato di annientarmi psichicamente in un delirio di onnipotenza, perché tutto sembrava possibile fare su questa figlia che dipendeva dal suo amore.
Adesso che so che non è colpa mia se tutto l’amore di cui sono stati capaci i miei genitori è stata questa miseria, posso andare avanti per la mia strada.

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...PRENDERE CONSAPEVOLEZZA...(2°PARTE)

…aver incontrato degli amici veri e un bravo psicoterapeuta è servito a richiamarmi alla realtà, solo che è successo un attimo prima di oltrepassare il confine, quando ormai davvero mi sentivo stanca, distrutta e priva di energie e desideri.
Da zombie stavo trasformandomi in un ossuto…come nel film ‘Warm bodies’. Mi sentivo come immagino potrebbe sentirsi un Inuit partito in maglietta per andare a morire sull’altopiano groenlandese se un suo connazionale gli urlasse da lontano che si è sbagliato, che le sue sensazioni circa l’essere arrivato in fondo alla vita fossero state falsate. E questo, mezzo congelato, non riuscisse ormai più a muoversi mentre la sua mente confusa e ingannata potesse ancora ragionare su quanto fosse ridotto male e impotente tutto per un terribile equivoco. Non sarebbe forse stato meglio lasciarlo morire? Oppure sparargli a quel punto…
Mi veniva la nausea dallo sforzo di accettare che ci fosse ancora una fiammella vitale dentro di me e nello scoprire che sono stata io a ridurla così, nel sentire la mia paura e la mia impotenza, la mia vergogna e frustrazione.
E’ uno strazio andare per il mondo senza pelle ed espormi a continue sofferenze quando sono ancora ferita e sanguinante…

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PER SOPRAVVIVERE...(VERSIONE IN 3 PARTI, CON FINALE MENO SOSPESO!) 1°PARTE

[PER GLI AMICI CHE PREFERISCONO I RACCONTI BREVI E A PUNTATE].

In un ennesimo giorno di sofferenza, quando ero poco più che ventenne sono arrivata alla conclusione che il giorno dopo sarebbe arrivato lo stesso anche senza fare niente.
Ho tirato i remi in barca e mi sono lasciata trasportare dalla corrente. Ho rinunciato alle grandi lotte per la vita limitandomi ad azioni di poco conto che non davano molto nell’occhio.
Avevo rinunciato ai miei desideri e tanto bastava a lasciare parzialmente soddisfatti i miei familiari.
In realtà ho ‘strategicamente’ tenuto in vita il mio tesoro (vitalità e creatività) con poco, pochissimo…ma il risultato è stata comunque una grave perdita.
La mia famiglia si è sentita vincente su di me perché, se anche non era riuscita a piegarmi al suo volere, mi aveva quantomeno persuasa a spegnermi.
Devo averli fatti sentire potenti…prima con la dipendenza e l’amore inossidabile di un figlio-nipote, poi con il controllo della sua vitalità…
Mi sono sentita come se avessero violato qualcosa di troppo intimo e prezioso, maltrattandolo e calpestandolo, senza alcun rispetto per me. Che brutti piccoli mostri, molto kafkiani!
Per sopravvivere ho dovuto credere che nulla mi interessasse e che niente valesse la pena perché difendere la mia vitalità mi stava uccidendo…

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ADESSO POTREI SPIEGARTELO!

Avevo 6 anni. Ero con mia madre a casa della vicina nell’appartamento al piano di sopra. Le raccomandazioni erano maniacali, non toccare, non muoverti, non fare nulla, non chiedere. Era sempre nervosa.
Mentre parla con la signora, io vengo intrattenuta dal figlio di lei che suonava il contrabbasso. Nonostante fosse stato lui ad interessarsi a me, vengo richiamata per paura che potessi disturbare e più probabilmente che potessi divertirmi. Così torno da loro e resto immobile.
Mi scappa la pipì. Ma non è educato andare in bagno a casa degli altri così vengo invitata a resistere il tempo di tornare a casa nostra. Il commiato non arriva mai.
Insisto e la signora mi accompagna gentilmente in bagno mentre incrocio lo sguardo di mia madre che mi fulmina e mi sussurra al limite della sopportazione: “Ma non potevi aspettare di scendere?!”.
Un attimo prima di arrivare al water, per la tensione, me la faccio addosso.
Una furia mi travolge e scuote come per far uscire qualcos’altro da dentro di me: “PERCHE’ L’HAI FATTO???? Sei una maledetta! Mi fai solo vergognare! Raccogli le tue mutande piene di piscio perché mi fanno schifo, tu mi fai schifo e quando arriviamo giù facciamo i conti”.

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05 settembre, 2017

PERVERSIONE DI COMMERCIANTE

Fino a non molto tempo fa, nella mia città i negozi erano ancora a conduzione famigliare ma quasi nessuno dei commercianti di seconda o terza generazione voleva fare quel mestiere. Lo si capiva dal livello di acidità misurabile ad occhio nudo che faceva appassire la vitalità di chiunque transitasse nel loro spazio vitale.
Onora il padre e la madre…e vai in negozio!
Questi, poveretti di vitalità ma decisamente ricchi, drogati di odio represso, psicofarmaci, tabacco, bingo e alcol eseguivano e si rifacevano sulle commesse.
I soldi i loro vecchi li avevano fatti in tempi di vacche grasse e con molta malizia raddoppiando tranquillamente il patrimonio con il giochetto dell’euro. Avidi e longevi, speravano che i figli triplicassero, nel sogno utopico un giorno di scolpire in oro massiccio il loro nome e il loro status che fino a quel momento sembrava placcato tutto sommato di fresco.
La vecchia che si teneva stretta alla cassa e che incoraggiava i militari ad intrattenersi alla chiusura per provarci con noi, un giorno va in sciolta e riduce l’orribile cesso dedicato a noi commesse come quello di trainspotting. La loro perversione fu quella di obbligare a pulire quella di noi più ricattabile, senza guanti.

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PAESINI PITTORESCHI 2

Faccio conoscenza con la vicina della porta accanto con cui condivido il ristretto vicolo e l’angusto ingresso di casa.
Età: vecchia immortale. Vedova? Lui vorrebbe ma no, tempo dopo imparo che è vivo ed è pure invalido. Questo marito è una perfetta scusa per ottenere qualsiasi favore da tutti tranne che da me perché non ci sono quasi mai.
Decisa a mettermi in riga mi aggancia ogni volta che entro o esco di casa.
Io somatizzo questa persecuzione. Un giorno, quando ancora non ero legittimata a parcheggiare ovunque, pur avendo un attacco di diarrea nervosa, decido di lasciare la macchina in fondo alla salita. Mi trascino su per i gradini pregando di non incontrarla. Invece mi sta addirittura venendo incontro.
Visibilmente debilitata le dico con un filo di voce che sto male e che appena mi riprendo passo a sentire che cosa vuole ma lei non può aspettare, suo marito è scivolato a terra e lei non riesce a sollevarlo. Ma sta bene ed è estate cazzo, così tiro dritto al cesso.
5′ dopo la raggiungo trafelata e smunta. ‘E’ intervenuto il parroco, SANT’UOMO!’, dice compiaciuta. Grazie a lei della mia mostruosità parleranno a lungo fino al giorno della mia redenzione…

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PAESINI E SOLUZIONI PITTORESCHE

Ho abitato per tre anni in un pittoresco paesino arroccato su una collina sopra il mare.
Se non ti porti sul groppone la frustrazione di vivere lassù da generazioni, allora devi guadagnarti il diritto di appartenenza alla comunità con una lunga penitenza.
Evidentemente, le scomodità, gli spazi angusti, l’obbligo alla chiesa cattolica e i pettegolezzi a cui ti costringono l’eccessivo isolamento dal resto del mondo e la convivenza forzata fino a tre generazioni in quelle che sembrano più torri scale per le esercitazioni dei pompieri che luoghi per vivere, generano psicotici e nevrotici.
Così, ad esempio, dal giorno del mio arrivo, ogni volta che parcheggiavo in un posto libero da divieti visibili trovavo un biglietto con minacce di ritorsioni.
Casa mia non dava sulla strada principale ma in un viottolo pedonale. Se fai la spesa la logica vorrebbe che ti avvicinassi il più possibile fin dove puoi, scaricassi al volo la roba e solo dopo andassi a parcheggiare. Ma neppure quello potevo fare.
Ho ottenuto rispetto quando, dopo mesi di paziente attesa, sono riuscita a collezionare sufficienti biglietti minatori coi quali ricoprire interamente la mia macchina parcheggiata dove cazzo dicevo io, restituendo loro così un pittoresco affresco della propria meschinità.

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BIANCA

In vacanza con due amiche abbronzatissime, scopro che, oltre ad interpretare diversamente da loro il sole, interpreto diversamente anche il mare: loro in relax, stese nude sul bagnasciuga e in acqua solo per rinfrescarsi; io sempre agitata, a caccia di vento e onde, densamente incremata e con la maglietta nelle ore più calde.
Una mattina loro cambiano lido mentre io noleggio una deriva. Appuntamento pomeridiano nella solita spiaggia.
All’ora stabilita sono ancora in mare, irraggiungibile.
Una volta rientrata tutti mi guardano e qualcuno mi sorride. Racconto alle ragazze di essere osservata e loro ridono. Non trovandomi, preoccupate, avevano chiesto in giro: ‘Avete visto una ragazza bianca?’. In Sardegna, su quella spiaggia, erano tutti bianchi e nessuno aveva capito finché non mi aveva visto: non esiste fotocamera in grado di correggere la mia luminosità.
Un altro giorno le ragazze contrattano sulla spiaggia il valore di numerosi oggetti e in diretta mi telefonano chiedendomi di raggiungerle con la somma. Quando arrivo il ragazzo mi guarda stupito. La sera tra le bancarelle del paese vengo letteralmente assediata dai venditori: le mie amiche mi avevano spacciata per la loro padrona proprietaria del mega yacht inglese ancorato nella caletta.
Nessuna foto pervenuta di quel viaggio.

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TUTTO NOCCIOLA

E’ sabato pomeriggio e all’ultimo momento decidiamo di uscire di casa. Mi viene voglia di mettermi qualche braccialetto ma non riesco a scegliere e lei diventa impaziente, così prendo tutto il portagioie. Sembro un albero di natale.
Stiamo fuori qualche ora. Prima di rientrare ci prendiamo il gelato sotto casa. Mi faccio un cono da 1500 lire tutto nocciola e, mentre mia madre ordina il suo, io sono già fuori che mi incammino verso casa. Lei mi segue a ruota, ha le chiavi, apre il portone del palazzo, passo di nuovo avanti su per le scale mentre lecco il mio gelato, arrivo al primo piano, di fronte alla porta di casa e…la trovo aperta. La nocciola comincia a colare, ‘Hai aperto tu la porta?’, ‘Sei scema, sono dietro di te, come avrei fatto…’. Allora l’ha aperta qualcun altro.
E’ tutto sottosopra, c’è pure un biglietto con l’orario in cui son passati e i ringraziamenti, manca quel poco che contava meno il mio portagioie. Si sono portati via pure il videoregistratore con dentro la cassetta piratata al cinema dal macellaio di fiducia, ‘Alice nel paese delle meraviglie’, la mia preferita.
Non ho più potuto mangiare gelato alla nocciola senza provare nausea.

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02 settembre, 2017

­PSICOMOTRICITÀ RELAZIONALE in educazione:

[Il bambino attraverso il gioco ci parla di sé, della sua storia, delle sue aspettative presenti, passate, future e, nel gruppo, grazie al gruppo e allo psicomotricista scopre le sue risorse e nuove strategie per superare le difficoltà].

Ho 2 anni e vado all'asilo.
Al mattino fatico ad alzarmi presto perché la sera non riesco quasi mai a lasciarmi andare alla nanna all'ora giusta -così mi dicono mentre protesto che voglio dormire-. Mi toccano i preparativi per uscire che mi sembrano sempre troppo frenetici. Così quando mi ritrovo all'Atelier talvolta sono già stanco e nervoso.

Al distacco dalla mamma o dal papà comunque io ormai me la cavo bene, un modo lo trovo per lasciarli andare magari con qualche senso di colpa piccolino...le dade mi accolgono sempre sorridenti e sono contento di trovare gli amici. Poi starci insieme è un altro discorso, una fatica certi momenti ma fondamentalmente una gioia. Ogni giorno che passa mi sento più grande e più sicuro di me.

Appena arrivato, mentre mi rilasso, aspetto l'arrivo degli altri. Poi facciamo il saluto tutti insieme, si canta, si gioca dentro e fuori, a volte si va in piscina, si legge, si ride, si piange, altre volte si dipinge e poi...c'è la psico!

Questa cosa della psico ancora mi emoziona! Succede che ad un certo punto arriva una dada più nuova delle altre che vediamo sempre...è sorridente e accogliente anche lei...ma si sente che porta qualcosa di nuovo e io mi sento salire il magoncino delle novità! Allora mi guardo un po' in giro: le nostre dade sembrano tutte tranquille; dei miei compagni, alcuni sono tutti contenti, battono le mani e si mettono in fila, qualcun altro invece piange e dice che non vuole andare...io mi ritrovo in fila nel trenino e si parte...
Appena entrati empatizzo con chi piange e piango anche io...mi ritrovo però seduto in cerchio tutti insieme e diciamo le regoline e questo sembra un momento in cerchio come altri. Poi 'via', possiamo andare a giocare. Fiuuuu! Tutto a posto insomma! Pensavo ad un altro distacco importante io!

Comunque all'inizio rimango un po' in osservazione. La dada gioca con una palla e sembra interessante quello che fa. Intorno a lei ci sono alcuni bambini ma, per come mi guarda, sento che lei c'è per me anche se è momentaneamente impegnata ed ho la tentazione di raggiungerla e giocare anche io ma ancora non riesco a muovermi. Così resto lì dove sono, a pochi passi, in attesa del coraggio...o che arrivi qualcuno. 

Dopo un po' mi distraggo dal mio magoncino perché mi ritrovo a gironzolare per la stanza, a saltare dal tappeto, scoprendo il piacere di muovermi nello spazio in mezzo agli altri (gioco sensomotorio: io posso/io sono)...mi muovo e mi sento grande...vedo una stoffa che mi piace, vado per prenderla ma attaccato c'è un altro bimbo che non la molla e che si mette a strillare; adesso strillo pure io, tiro con tutta la mia forza, mi arrabbio e non capisco. Guardo la dada affinché venga in mio soccorso ovviamente ma lei resta là dov'è tranquilla e mi dice, come se fosse quella la cosa più ovvia, che la stoffa era prima dell'altro e che posso trovarne un'altra per me; così, non proprio convinto e dopo un altro tentativo e un'altra smentita, mi allontano tutto scapigliato e confuso. Adesso sono un po' stanco e mi sento vulnerabile. Incontro uno scatolone e istintivamente ci entro dentro (gioco simbolico: bisogno di fusionalità) e rimango lì il tempo che mi serve per ricaricarmi come fossi nell'abbraccio della mamma...ma presto riparto, incontro altri bambini e prendo per mano uno di loro che mi sorride (gioco di socializzazione) e con cui giro insieme per la stanza. Sono contento. 

La dada arriva solo quando serve. Giocando con noi e attraverso l'uso degli oggetti, quasi senza parlare, ci aiuta a capire un sacco di cose di noi stessi e degli altri: comprende le nostre emozioni (riconoscimento), ci aiuta a gestirle (contenimento affettivo), chiarisce gli equivoci, la responsabilità che abbiamo verso noi stessi e verso l'altro e ci fa capire che è importante dire di sì e dire di no, aiutandoci a trovare da soli o suggerendoci la strategia più utile per relazionarci con gli altri o per sottrarci a qualcosa che non ci piace. 
Ma, cosa altrettanto importante, sempre meglio io so andare dalla dada quando ho bisogno, so chiedere aiuto agli altri e, tramite gli oggetti, scopro la mia autonomia, la motivazione a fare, ad essere; supero gradualmente la dipendenza dai bisogni cosicché stare con gli altri è più semplice e mi adopero per realizzare i miei desideri.

Scopro che la rabbia e l'aggressività fanno parte di me e di tutti e che sono emozioni normali proprio come le altre; scopro che la dada sa riconoscerle per ciò che significano realmente e può aiutarmi ad esprimerle senza fare male agli altri o a me stesso...
Scopro che ci sono tanti oggetti interessanti che facilitano l'espressione delle mie emozioni e la socializzazione con gli altri. Posso rompere (affermazione di sé, diffusione) uno scatolone (genitore)...e farlo non comporta conseguenze (la perdita dell'amore, il senso di colpa) e questo mi fa sentire autonomo, grande; oppure posso entrare dentro ad un cerchio, come in un abbraccio (fusionalità, regressione) a ricaricarmi, perché, in fondo, mi sento ancora così piccolo.
E in questa alternanza dentro/fuori, fusione/diffusione, acquisisco autonomia e fiducia in me, strumenti per stare con gli altri, per rispettarli rispettando me stesso. Quegli stessi strumenti, insieme agli oggetti, li porto con me dagli altri e insieme costruiamo qualcosa, una casetta, una macchinina. 

Qualche volta comincio a fare una cosa e mi sembra di non riuscire più a smettere e quando sono stanco e ancora non smetto, arriva la dada a suggerirmi alternative, strategie. Queste ultime poi tornano utili anche fuori dalla seduta di psicomotricità, in altre situazioni, con altri bambini e altri adulti.

Insomma, quando arriva la musica ballo e quando finisce la musica metto a posto e quando mi metto davanti alla porta non vedo l'ora di far vedere chi sono diventato alle nostre dade.

Quando poi più tardi ritrovo mamma e papà mi emoziono di nuovo perché per fare tutto quello che ho fatto oggi ho dovuto lasciarli là fuori magari con le occhiaie per la notte passata in bianco, dopo averli salutati un po' a fatica, forse preoccupati che potesse essere per me una giornata troppo impegnativa e questo proprio mi è dispiaciuto; oltretutto dopo il saluto, durante la giornata me li ero pure un po' dimenticati pensando persino di poter fare da solo e quando li ho rivisti ho subito sentito invece che ancora non ce la faccio senza di loro e mi sono preoccupato che avrei potuto perdermi e perderli in tutto questo allontanarmi, dimenticarmeli, scoprirmi. 

Insomma...crescere è faticoso per tutti, nessuno è perfetto, esistono gli imprevisti e non è proprio possibile avere tutto sotto controllo...ma è proprio questo il bello: le nostre risorse sono tutte da scoprire.

In tutto questo mamma e papà ci sono sempre e man mano che cresco, crescono anche loro e mi guardano un po' meno atterriti quando mi allontano! 

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MANUALE D'USO PERVERSO E MANUTENZIONE DI UNA TATA

[Nel testo che segue faccio riferimento a SITUAZIONI LIMITE e le racconto con IRONIA per rendere l'idea di quanto la categoria venga bistrattata].

Come mestiere da qualche anno a questa parte ho scelto quello della tata in famiglia. Un ottimo osservatorio da cui studiare i bambini e le loro famiglie, motivo di interesse personale e argomento dei miei studi di psicomotricità relazionale.

A causa della mia sensibilità ed empatia e avendo sofferto molto nella mia infanzia, il mio punto di osservazione è sbilanciato e così lo è anche la mia partecipazione, evidentemente a favore dei bambini. Con l'esperienza, l'analisi personale e gli studi sono riuscita pian piano ad equilibrare la mia posizione e a provare empatia anche per le difficoltà dei genitori.
Diciamo che prima ero integralista del benessere del bambino, mentre adesso, volendo, riesco a tenere insieme quello di tutta la famiglia, compresi gli animali domestici.

Purtroppo di fronte a proposte arroganti, imbarazzanti e deprimenti, provo comunque rabbia e, nel tentativo di evitare l'autolesionistico sfanculaggio diretto, ho pensato di sfogarmi qui una volta per tutte per dare un po' di voce alla mia occasionale frustrazione e a quella di tutte le persone che come me spesso sono state messe di fronte a compromessi esasperanti o a ricatti sul lavoro in questo moderno e libero mercato degli schiavi.

Scrivo di seguito la sintesi dei miei sfoghi e di quelli di tutte le tate conosciute fino ad oggi.
Volendo questo può essere letto anche come una sorta di manuale d'uso e manutenzione del rapporto con la tata da cui prendere spunto.

Prima di tutto, cari genitori alla ricerca di una tata, dovete fare chiarezza dentro di voi circa la figura che state cercando e le vostre specifiche necessità. 

Nel caso frequente in cui il vostro bambino vi sta sulle palle e volete punirlo, potete pensare di occupare il tempo della tata con ogni genere di pulizia della casa e lavoro domestico. Ottimizzare è importante e la tv, lo smartphone e tutta la tecnologia del mondo facilmente reperibile penseranno ad occupare il bambino durante l'assenza della tata. In questo modo ci sarà coerenza con il vostro stile educativo e il vostro bambino potrà serenamente interiorizzare che, come a mamma e papà non frega niente di lui, così deve essere per il resto del mondo. Indubbiamente egli saprà aspettarsi indifferenza dal prossimo e solitudine e magari si adatterà a questa condizione occupando il minor spazio possibile oppure facendo ricorso a droghe nell'adolescenza permettendovi così di rinnegarlo finalmente, disperandovi per la croce che vi è capitata. Ma non preoccupatevi, ci sono quegli efficientissimi centri di riabilitazione e disintossicazione dove gli insegneranno ad essere produttivo per la società e vi solleveranno dal disagio di un figlio che in fondo non avreste mai voluto fare.

Se poi proprio lo odiate, perché non prendergli una perfetta tata vecchia maniera, magari straniera di qualche paese fermo agli anni 30 e possibilmente totalmente digiuna delle moderne conoscenze sui bambini, che si affida unicamente al ricevuto trapassato modello educativo autoritario e mai elaborato. Missione compiuta! Le probabilità di ottenere un perfetto bambino adattato saranno elevatissime e magari potrà divenire persino un serial killer di fama mondiale.

Se invece siete incastrati dal vostro datore di lavoro in compromessi sempre meno sostenibili perché non rifarvi sulla tata? Tormentandola qualsiasi cosa faccia, inviando messaggi paradossali dalla soluzione impossibile perché qualunque sua mossa non potrà che essere sbagliata? Questo dà grande soddisfazione e consente un po' di sollievo dalla frustrazione di vivere secondo le aspettative degli altri.

Se siete invece degli egocentrici, viziati, narcisisti, incapaci di affidarvi e fidarvi e bisognosi del controllo della vita degli altri come unica strategia di relazione, in una sorta di sommesso delirio di onnipotenza, perché non chiedere alla tata di sapere tutto di lei fin nei minimi dettagli, in uno slancio di incolmabile bisogno di possesso che trova le sue radici nel rapporto non soddisfacente con vostra madre?

Ma soprattutto perché non mettere la potenziale tata con le spalle al muro contrattando arrogantemente la sua miserabile tariffa? Questo è il giochino perverso preferito dalla maggior parte delle famiglie italiane quale che sia il reddito complessivo della coppia semplicemente perché è nell'uso comune il mercato delle vacche e di fronte a quello qualunque altra argomentazione è fallita in partenza. La perversione più gettonata in assoluto è il forfait, non importa se ti propongono un anno di lavoro o una settimana! Sempre di forfait ti parlano.

A quel punto, la tata è sconfitta nell'animo e se potesse si suiciderebbe. Il suo orgoglio si è impiccato, la sua autostima è crollata e non le restano che i meri bisogni di sopravvivenza attaccati al collo a supplicarla di non mandare a fanculo i suoi interlocutori. E non lo farà. E a quel punto, quando vedrete il vaffanculo scenderle giù per la gola, la tata sarà vostra. E accetterà la vostra offerta miserabile perché pure lei ha una vita, una famiglia, persino dei desideri. Ma con quella cifra miserabile non soddisferà nessuna di quelle cose...semplicemente tamponerà l'imminente catastrofe e tirerà a campare raccontandosi che è solo una condizione temporanea, placando momentaneamente la paura che, nella nostra cultura della colpa e della sofferenza, è un punto fermo. Paura di rimanere a mani vuote, paura di non farcela, paura di osare chiedere di più, perché sostanzialmente siamo isolati ognuno nella sua sofferenza e difficoltà in questa che sembra una democratica dittatura.

Fatte le dovute valutazioni e selezioni, quando finalmente la tata che fa al caso vostro (e non necessariamente a quello di vostro figlio) lavorerà per voi, se vi succederà di scoprirla sensibile, empatica, profonda e capace, potranno succedervi diverse cose tra cui una spiacevole: l'attaccamento morboso.

Ecco i sintomi: 

- Inizialmente percepirete il suo lavoro come ben svolto, serio, necessario;  

- poi gradualmente e sempre di più vi sentirete dipendenti da lei come da vostra madre quando eravate dei lattanti perché di questa qui ci si può proprio fidare e forse ne avete più bisogno voi di vostro figlio;  

- desidererete avidamente il suo affetto e la sua amicizia, sentimenti ed emozioni nuovi per voi abituati chi più chi meno ai surrogati dell'amore e adattati a realtà familiari e lavorative faticose, talvolta avvilenti; sentimenti ed emozioni che in pochi secondi si trasformeranno in brama di possesso. 

- infine farete la vostra proposta indecente, non necessariamente sessuale ma comunque inopportuna.

A quel punto lei vi respingerà e voi, fragili e bisognosi, esposti praticamente in mutande, di fronte al rifiuto di lei di diventare il vostro assoluto sostegno, potrete sempre odiarla con grande soddisfazione della vostra rabbia proiettiva. Non si può mica sopportare di trovarsi così, su due piedi, di fronte a sé stessi, alle proprie debolezze e all'immagine reale di ciò che si è e per la quale ci vorrebbero duecento anni di terapia per accettarla veramente.

Immediatamente proverete ribrezzo per voi stessi che confonderete per ribrezzo per lei e licenzierete l'ingrata dal suo patetico, vergognoso contratto non scritto perché comprensibilmente voi non potete certo licenziarvi da voi stessi. 

Sostanzialmente lei non ha accettato di diventare vostra madre, sorella, amica, confidente, mentore accogliendo con devozione la vostra richiesta in nome della vostra così rara stima riposta e questo certo deve fare proprio incazzare.

Ma, ironia della sorte, tutto è bene quel che finisce bene perché potrete così finalmente sentirvi legittimati con rinnovato ardore ad essere ciò che siete: degli ipocriti, ben adattati, inconsapevoli stronzi.

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SOPRAVVISSUTA

In un ennesimo giorno di sofferenza, quando ero poco più che ventenne sono arrivata alla conclusione che il giorno dopo sarebbe arrivato lo stesso anche senza fare niente. Ho tirato i remi in barca e mi sono lasciata trasportare dalla corrente. Ho rinunciato alle grandi lotte per la vita limitandomi ad azioni di poco conto che non davano molto nell'occhio. Avevo rinunciato ai miei desideri e tanto bastava a lasciare parzialmente soddisfatti i miei familiari. In realtà ho 'strategicamente' tenuto in vita il mio tesoro (la mia vitalità e la mia creatività) con poco, pochissimo...ma il risultato è stata comunque una grave perdita. La mia famiglia si è sentita vincente su di me perché, se anche non era riuscita a piegarmi al suo volere, mi aveva quantomeno persuasa a spegnermi. Devo averli fatti sentire potenti...prima con la dipendenza e l'amore inossidabile di un figlio-nipote, poi con il controllo della sua vitalità...Mi sono sentita come se avessero violato qualcosa di troppo intimo e prezioso, maltrattandolo e calpestandolo, senza alcun rispetto per me. 
E come si animavano tutti quando avevo le mie 'crisi acute'...Devono aver goduto inconsciamente nel vedermi ridotta tanto male e nel vedersi costretti a chiamare un'ambulanza che venisse a portarmi via in quanto causa di destabilizzazione del loro patetico equilibrio. Che brutti piccoli mostri...molto kafkiani...

Per sopravvivere ho dovuto credere che nulla mi interessasse e che niente valesse la pena perché difendere la mia vitalità mi stava uccidendo. Nonostante tutto, la mia parte lucida ha continuato a cercare aiuto.

Aver incontrato delle persone speciali è servito a richiamarmi alla realtà, solo che è successo un attimo prima di oltrepassare il confine, quando ormai davvero mi sentivo stanca, distrutta e priva di energie e desideri. Da zombie stavo trasformandomi in un ossuto...come nel film 'Warm bodies'. Mi sento come immagino potrebbe sentirsi un Inuit partito in maglietta per andare a morire sull'altopiano groenlandese se un suo connazionale gli urlasse da lontano che si è sbagliato, che le sue sensazioni circa l'essere arrivato in fondo alla vita fossero state falsate. E questo, mezzo congelato, non riuscisse ormai più a muoversi mentre la sua mente confusa e ingannata potesse ancora ragionare su quanto fosse ridotto male e impotente tutto per un terribile equivoco. Non sarebbe forse stato meglio lasciarlo morire? Oppure sparargli a quel punto...

Mi viene la nausea dallo sforzo di accettare che ci sia ancora una fiammella vitale dentro di me e nello scoprire che sono stata io a ridurla così, nel sentire la mia paura e la mia impotenza, la mia vergogna e la frustrazione. 
E' uno strazio andare per il mondo senza pelle ed espormi a continue sofferenze quando sono ancora ferita e sanguinante. E' uno strazio sentirmi così pesante. 

Nella vita, come strategia per evitare 'crisi acute' che potrebbero espormi ad ulteriori rischi, ho recentemente optato per tenere un profilo basso, ovvero stare ferma, praticamente immobile, ridurre al minimo i giri del motore, espormi il meno possibile...ma tutto ciò non è compatibile con la vita stessa perché non riesco ad accettare nessuna mia strategia e i conseguenti compromessi che comporta perché ho perfettamente interiorizzato tutte le vocine malefiche possibili e immaginabili.

Non so come fare a convivere con tutto ciò. Non ho gli strumenti per ravvivare quella fiammella. Mi sento un'invalida totale e mi fa schifo questa condizione. Man mano che passa il tempo in questa immobilità il mio corpo si irrigidisce ed io mi abbruttisco perché al mio corpo è sempre stata legata una parte della mia fragile, ridicola e insignificante autostima. Così non sto più bene neppure da quel punto di vista. Niente endorfine, nessun antidolorifico. Mi gonfio di rabbia proiettiva che a stento trattengo e che prima o dopo riverso su qualcuno per me vitale.
Rallentare sarà utile ma mi sta uccidendo e non so più come ripartire...non ho più slanci, interessi, motivazione per fare niente. Sono solo immobile e sempre più bloccata.
E non ho neppure la forza di fare un atto di fede perché soffro come un cane e pure Giobbe ha chiesto di morire a Dio quando soffriva. E sia chiaro, la ricompensa deve essere altrettanto soddisfacente: una vita lunga e felice e la ricchezza interiore e materiale...da condividere, certo.

Ho bisogno di qualche strumento in più che non sia la frase enigmatica di un oracolo per quando spaccherei tutto o investirei qualcuno per la mia incapacità di sopportare la frustrazione di esistere in queste condizioni. 
Inoltre sono di nuovo nella fase che strangolerei il mio psicoterapeuta e anche se so che come una madre suff buona tiene duro e restituisce attenuato, vorrei non massacrarlo troppo...

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