29 settembre, 2020

IL SACCO DELL'IMMONDIZIA

L'altro giorno sono stata costretta a riflettere su alcune convinzioni di una coppia di amici. Da qualunque parte io le consideri, mi sembrano sbagliate. Quando ne avevamo parlato insieme tempo addietro, ognuno è rimasto della sua opinione. Solitamente la loro opinione è per me autorevole e persino illuminata. Ma circa questa questione siamo lontanissimi. E non riesco a ricondurre a me in alcun modo la possibilità di una distorsione dovuta a mie cattive abitudini. Perché talvolta mi riconosco di essere in errore, un errore che fatico a non fare e per il quale poi cerco di rimediare. Ma stavolta non sono io. Sono loro. E ciò che mi rende tutto molto faticoso è che non lo riconoscono nemmeno.

Tutto ciò mi obbliga a fare uno sforzo enorme per tenere insieme la parte ragionevole e illuminata dei miei amici e questa oscenità senza senso che stona e puzza come un sacco dell'immondizia. E' come se avessero una bella casa pulita con dentro un sacco condominiale di rifiuti puzzolenti e ne negassero l'evidenza disgustosa. E io mi dovessi sforzare di stare insieme a loro seduta al fianco di questa cosa orrenda come se niente fosse. 

Se mi dicessero: sai, abbiamo un sacco dell'immondizia da buttare ma siamo pigri e rimandiamo sempre o ce lo scordiamo, proprio non ce la possiamo fare... capirei che almeno ne sono consapevoli. Invece mi sembra che neghino la realtà facendomi involontariamente sentire una pazza allucinata che si immagina seduta in parte ad un sacco dell'immondizia che non esiste.

Ecco, sì, ancora una volta mi sento come se in gioco ci fosse la mia stessa normalità. I miei hanno giocato a torturarmi talmente tante volte e così i miei successivi partner-da-copione-familiare, che qualsiasi negazione della realtà è per me una pugnalata, un gioco perverso.

Altrimenti potrei lasciare in pace i miei amici con il loro sacco di immondizia a cui loro non fanno caso.

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INVERNO, PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO... E ANCORA INVERNO.

INVERNO: la storia comincia con una pandemia, fuori, e una anziana signora invalida, dentro, che si alletta alla fine di febbraio nel suo appartamento di un condominio. Al suo fianco il marito devoto. L'anziana signora ha una infezione e per questa ragione viene portata in ospedale. Le condizioni sono gravi. Arriva la nipote con il compagno. Nella casa sono presenti una strega e due gatti neri.

PRIMAVERA: L'anziana signora è tornata a casa ma le sue condizioni sono molto precarie. I mostri e i gatti neri si moltiplicano e si affollano al suo capezzale. Sono orribili e fanno male agli occhi così li chiude per non vedere, anche se è ancora costretta a sentire. La nipote manifesta sintomi di avvelenamento e si ritira con il compagno appena in tempoL'anziana signora si spegne. I mostri si disperdono. Qualcuno cerca di nutrirsi dell'anziano vedovo. La nipote è devastata.

ESTATE: L'anziano vedovo rimane solo in compagnia della strega. Un gatto nero si aggira nei dintorni della casa. Il vedovo è triste ma fisicamente sta meglio. Ha ricominciato a dormire dopo tanto tempo. La nipote soffre, fa brutti sogni. La strega... è una strega, indifferente.

AUTUNNO: L'incertezza domina la scena. L'Incertezza è cugina della Morte. La precede, la invita, è sua amica. La scena si divide in due: da una parte l'appartamento con l'anziano vedovo, la strega e il gatto nero che si aggira fuori della porta. E dall'altra un bosco dove vive la nipote.

E ANCORA INVERNO: La scena non è ancora stata girata. Il regista si è ammalato ed è stato ricoverato in ospedale. Forse guarirà. Se guarirà non girerà altre scene di questo film. Non si sente più lo stesso, ha la nausea del suo modo di rappresentare la realtà. Si ritirerà a vivere altrove, cercherà di smettere di guardare negli occhi l'orrore e girerà solo commedie.

Perché se la vita di ognuno può sembrare una patetica successione di eventi spesso fuori dal proprio controllo e simili tra loro, la fantasia può offrire una via di uscita, un luogo sicuro in cui rifugiarsi, volendo anche tutta la vita. Si può evitare uno sguardo fatalista, crudo, dedicato alla osservazione e cronaca degli aspetti triviali dell'esistenza. E nessuno può obbligarci a guardare il mondo con i suoi occhi. Nessuno tranne un genitore con il proprio figlio. Il regista quindi invita tutti i figli di genitori privi di fantasia a fuggire lontano in cerca di stimoli alla propria creatività, affinché la propria vita possa essere migliore di quella avuta in dotazione.

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03 settembre, 2020

LA CADUTA DEGLI DEI

Presto o tardi arriva la liberazione. Arriva il momento in cui coloro che avevi innalzato allo stato di Dei precipitano dal pulpito e tornano ad essere persone normali, fatte di pregi e difetti comuni e per questo irrilevanti. Una liberazione per sé e per gli altri: non a tutti piace stare su un piedistallo e idealizzare troppo gli altri fa male ai rapporti.

'La caduta degli Dei' segna dunque l'evoluzione di un rapporto importante, da una condizione di  dipendenza e verticalità, a quella della maturità e orizzontalità-parità.

Il rapporto passa così dall'essere caricato e investito massicciamente di proiezioni e aspettative, di un valore speciale, unico -del genere allievo/insegnante-, utile per crescere e per passare di livello di consapevolezza, ad una condizione di parità.

La vera sfida, dopo la caduta, è continuare a rimanere amici, accettando la vulnerabilità dell'altro, le sue debolezze, le sue manie, le sue fragilità, le sue assurdità, insomma, la sua normalità.

Perché la normalità è come un quadro di un impressionista: si apprezza solo dalla giusta distanza.

Avvicinandosi troppo si rischia di perdere la visione di insieme, di frammentarne il senso, la personalità, di perdersi nei dettagli, in questioni che non ci dovrebbero riguardare dal punto di vista relazionale.

Osservando le singole pennellate di un dipinto, i singoli tratti di una personalità, in un certo senso, si accede alla sua intimità. Ma non tutte le relazioni riguardano l'intimità. Il rischio dunque è quello di finire con il giudicare l'intera opera/persona da un singolo dettaglio secondario e del tutto inutile per quel tipo di relazione

La convivenza su questa Terra sarebbe ben più semplice se non ci occupassimo di cose che non ci riguardano e focalizzassimo la nostra attenzione sulle cose davvero importanti. Invece no, è tutto un sovrapporre piani, ricevere e cercare informazioni sbagliate, inutili e dannose. 

La normalità poi è decretata dall'occhio che guarda, che è capace o meno di visione d'insieme, di consapevolezza. Ecco così l'origine di tutti i problemi. Nella incapacità di vedere le cose dalla giusta distanza, nell'impossibilità di cogliere il senso, nello scomporre arbitrariamente l'Altro in parti. 

E’ determinata dal contesto in cui è inscritta, dipende dall'ambiente in cui si vive e dalle persone di cui ci si circonda. 

E’ dunque saggio circondarsi di persone simili nelle pennellate e nei tratti, per garantirsi la sicurezza, rimanendo però in osservazione, contatto, dialogo e rapporto di scambio con la diversità, per garantirsi la crescita e la maturazione. In una sana alternanza e misura, tra simile e diverso, adeguate a seconda della propria condizione generale.

Ognuno di noi è fatto di così tante pennellate che, per forza, qualcuna sarà venuta strana per qualcuno. Le stesse singole pennellate di cui siamo fatti possono piacere ad uno e dispiacere ad un altro. Non si può piacere a tutti, né piacere sempre alle stesse persone. In generale apprezziamo gli aspetti che comprendiamo e amiamo di più di una persona e dovremmo poi però rispettarne l'intimità, i segreti, le stranezze di cui è certamente portatore, prendendo le giuste distanze da ciò che non si condivide senza allontanare troppo tutto il resto. Questo se l’Altro non ci fa del male. Se, al contrario, l’Altro è un perverso manipolatore, una persona nell’insieme malvagia, prenderne le distanze è l'unica cosa da fare. Ci sono persone molto intelligenti, che sanno usare ad arte i loro pregi, certe qualità socialmente popolari, per poi usare gli altri a proprio piacimento, screditarli, far loro semplicemente del male come prova del proprio potere. In una società dell’apparenza, saper apparire porta successo, credibilità, potere sugli altri. Viviamo infatti in una società fondata sulla falsità, sull’inganno, sulla superstizione, in modo diverso e uguale da come è sempre stato. Le forme di sfruttamento mutano nell'aspetto e nel nome magari, ma la sostanza rimane la stessa.

Si può essere eccellenti in ambito professionale e dei mostri in quello privato. Talvolta i due comportamenti sono le due facce della stessa eccellenza.

L'Altro, in conclusione, è sempre, contemporaneamente, ricchezza e minaccia. Convivere non è cosa semplice, mai. Tanto meno prendersi cura di sé in mezzo agli altri. Una comunità muore, si estingue rapidamente se eccede in apertura, a causa della mancanza di identità; ma muore, soffoca, magari dopo lunga agonia, pure se non lascia entrare la diversità. Il singolo muore se rimane solo e disarmato, privo cioè di strumenti efficaci per l’autoconservazione, ma muore soffocato se non può essere sé stesso e autoaffermarsi all’interno della comunità in cui vive.

L’equilibrio individuo/comunità e individuo/individuo è sempre delicato, precario e complesso.

Idealizzare per un certo periodo gli altri può aiutarci a strutturarci e a crescere se poi ristabiliamo gli equilibri mantenendo una visione di insieme equilibrata, imparando a fidarci di noi stessi e a difenderci. Un processo faticoso e costellato di fallimenti, successi, dolori, gioie.

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