Presto
o tardi arriva la liberazione. Arriva il momento in cui coloro
che avevi innalzato allo stato di Dei precipitano dal pulpito e
tornano ad essere persone normali, fatte di pregi e difetti
comuni e per questo irrilevanti. Una liberazione per sé e per gli
altri: non a tutti piace stare su un piedistallo e idealizzare
troppo gli altri fa male ai rapporti.
'La
caduta degli Dei' segna dunque l'evoluzione di un rapporto
importante, da una condizione di dipendenza e verticalità,
a quella della maturità e orizzontalità-parità.
Il
rapporto passa così dall'essere caricato e investito massicciamente di
proiezioni e aspettative, di un valore speciale, unico -del genere
allievo/insegnante-, utile per crescere e per passare di livello di
consapevolezza, ad una condizione di parità.
La
vera sfida, dopo la caduta, è continuare a rimanere amici,
accettando la vulnerabilità dell'altro, le sue debolezze, le sue
manie, le sue fragilità, le sue assurdità, insomma, la sua
normalità.
Perché
la normalità è come un quadro di un impressionista: si
apprezza solo
dalla giusta
distanza.
Avvicinandosi
troppo si rischia di
perdere la visione
di insieme,
di frammentarne il
senso, la personalità,
di perdersi nei
dettagli, in questioni che non ci
dovrebbero riguardare dal punto di vista relazionale.
Osservando
le singole pennellate di un dipinto, i
singoli tratti di una personalità, in un
certo senso, si accede alla sua intimità. Ma non tutte le relazioni riguardano l'intimità. Il rischio dunque è quello di finire con il giudicare l'intera opera/persona
da un singolo
dettaglio secondario e del tutto inutile per quel tipo di relazione.
La convivenza su questa Terra sarebbe ben più semplice se non ci occupassimo di cose che non ci riguardano e focalizzassimo la nostra attenzione sulle cose davvero importanti. Invece no, è tutto un sovrapporre piani, ricevere e cercare informazioni sbagliate, inutili e dannose.
La
normalità poi è decretata dall'occhio che guarda, che è capace o meno
di visione d'insieme, di consapevolezza. Ecco così l'origine di tutti i problemi. Nella incapacità di vedere le cose dalla giusta distanza, nell'impossibilità di cogliere il senso, nello scomporre arbitrariamente l'Altro in parti.
E’
determinata dal contesto in cui è inscritta, dipende dall'ambiente
in cui si vive e dalle persone di cui ci si circonda.
E’
dunque saggio circondarsi di persone simili nelle pennellate e nei
tratti, per garantirsi la sicurezza, rimanendo però in osservazione,
contatto, dialogo e rapporto di scambio con la diversità, per
garantirsi la crescita e la maturazione. In una sana alternanza e
misura, tra simile e diverso, adeguate a seconda della propria
condizione generale.
Ognuno
di noi è fatto di così tante pennellate che, per forza, qualcuna sarà
venuta strana per qualcuno. Le stesse singole pennellate di cui
siamo fatti possono piacere ad uno e dispiacere ad un altro. Non si
può piacere a tutti, né piacere sempre alle stesse persone. In generale apprezziamo gli aspetti che comprendiamo e
amiamo di più di una persona e dovremmo poi però rispettarne l'intimità, i segreti, le stranezze di cui è certamente portatore, prendendo
le giuste distanze da ciò che non si condivide senza allontanare
troppo tutto il resto. Questo se l’Altro non ci fa del male. Se, al contrario, l’Altro è un perverso manipolatore, una persona
nell’insieme malvagia, prenderne le distanze è l'unica cosa da fare. Ci sono persone molto
intelligenti, che sanno usare ad arte i loro pregi, certe qualità
socialmente popolari, per poi usare gli altri a proprio piacimento,
screditarli, far loro semplicemente del male come prova del proprio
potere. In una società dell’apparenza, saper apparire porta
successo, credibilità, potere sugli altri. Viviamo infatti in una società fondata sulla falsità,
sull’inganno, sulla superstizione, in modo diverso e uguale da come
è sempre stato. Le forme di sfruttamento mutano nell'aspetto e nel nome magari, ma la sostanza rimane la stessa.
Si
può essere eccellenti in ambito professionale e dei mostri in quello
privato. Talvolta i due comportamenti sono le due facce della stessa eccellenza.
L'Altro,
in conclusione, è sempre, contemporaneamente, ricchezza e minaccia.
Convivere non è cosa semplice, mai. Tanto meno prendersi cura di sé
in mezzo agli altri. Una comunità muore, si estingue rapidamente se
eccede in apertura, a causa della mancanza di identità; ma muore,
soffoca, magari dopo lunga agonia, pure se non lascia entrare la
diversità. Il singolo muore se rimane solo e disarmato, privo cioè
di strumenti efficaci per l’autoconservazione, ma muore soffocato
se non può essere sé stesso e autoaffermarsi all’interno della
comunità in cui vive.
L’equilibrio
individuo/comunità e individuo/individuo è sempre delicato,
precario e complesso.
Idealizzare
per un certo periodo gli altri può aiutarci a strutturarci e a
crescere se poi ristabiliamo gli equilibri mantenendo una visione di
insieme equilibrata, imparando a fidarci di noi stessi e a
difenderci. Un processo faticoso e costellato di fallimenti,
successi, dolori, gioie.
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