10 giugno, 2020

LIMITI E INTERPRETAZIONI

Nella teoria, il limite di velocità consentito su una strada indica la velocità massima che i veicoli possono raggiungere su quel tratto, sia che siano guidati da Michael Knight o da persona comune; se su quello stesso tratto di strada non ci sono tutor, autovelox o pattuglie, comunque non è possibile andare più veloci, mentre, volendo, si può andare più piano, senza per questo essere colpevoli di illecito...
Nella pratica, invece, pare essere un obbligo andare sempre al massimo della velocità consentita e superare il limite, più o meno a seconda di quanto si è vicini a Dio l'Onnipotente nella scala sociale. 

Se non hai fretta e guidi tranquillo, sei un irritante sfigato, un perdente, un miserabile. Mentre gli aspiranti Dei, sfigurati dallo sforzo di elevarsi dalla condizione mortale, sono gli unici furbi in un mare di idioti. Se poi guidi una utilitaria, non sei proprio degno di percorrere la stessa strada. 

L'argomentazione classica è che loro sono capaci di guidare, quindi, se anche vanno molto veloci, hanno il controllo della macchina, a differenza della maggioranza delle persone. Secondo gli aspiranti Dei, i limiti di velocità sono rivolti solo a chi non sa guidare, tutti sostanzialmente, a parte loro. Salvo poi saltare in aria e piangere su un ostacolo imprevisto, come un cinghiale, un sasso, un bambino, qualcuno che si sposta bruscamente per evitare il camion fermo a cui è scoppiata una gomma. Ma si può sempre tentare di fare causa al Comune, reo di non controllare l'imponderabile, se si sopravvive.

Secondo questa logica egocentrata, se ti trovi in tangenziale dove il limite è di 90 Km/h, se sei colpevole di guidare una utilitaria e di osare di frequentare la corsia di sorpasso riservata agli Dei, quando arriva Supercar dietro di te ai 240 km/h,  pure se a destra hai una fila continua di macchine e camion, è comunque tuo dovere smaterializzarti, scomparire all'istante, nel momento preciso in cui Kitt ti ha sfanalato la prima volta -con adeguato anticipo- quando era ancora a 100 metri, distanza che ha bruciato alla velocità della luce. 

Deve essere avvilente stare in un mondo popolato da disgraziati e utilitarie, mentre tu sei Dio in terra anche se poi muori come gli altri tra atroci sofferenze negli incidenti. Ma forse più spesso li provochi dietro di te. Quindi, più che Dio l'Onnipotente, sei una grandissima, esaltata testa di cazzo fuori controllo.  

In fondo devi sentirti un po' solo a correre in ogni momento, a sfuggire da tutto, un po' stanco ad aggredire continuamente il tuo prossimo.

Di quale rispetto potrai mai essere capace tu che, seduto al volante del tuo macchinone, insulti chiunque pesantemente e senza ragione?

La perversione più in voga tra gli aspiranti Dei è quella di incollarsi alla macchina che si vorrebbe eliminare, superarla a destra dopo aver obbligato le macchine sull'altra corsia ad evitarlo, mentre lui vive un duello in una allucinazione. Passare poi ad un millimetro dalla carrozzeria di suddetta macchina di merda e ripetere il giochino perdendo pure la propria uscita, letteralmente perseguitando il malcapitato finché il traffico finalmente non lo obbliga a tornare alla realtà. Forse è il loro unico modo per avere una erezione.

Forse è una sindrome... cresciuti dalla fredda tecnologia non si è più in grado di relazionarsi col mondo se non a forza di clacson e sfanalate allo xeno, dopo le quali gli altri intorno rimangono ciechi condannando lo sfanalatore compulsivo a non essere visto per l'esserino bisognoso di affetto che è. Per fortuna perché non c'è molto da fare ormai per lui. 

Si vedessero allo specchio in quel momento: gradassi, prepotenti, incazzati, sfigurati dalle smorfie e in preda alla furia. Brutti, orrendi, insoddisfatti di tutto e tutti che sfogano la propria rabbia su chiunque gli capiti a tiro. Gente che avrebbe vissuto bene come aguzzino nei campi di concentramento e che in epoca moderna, nella nostra società, non possono che accontentarsi di tormentare il prossimo ogni volta che ne hanno l'occasione. Protetti dalla super corazza della loro Supercar, perseguitano tutte le utilitarie che danneggiano la loro razza superiore.

Viste le frequenti interpretazioni emotive del codice della strada, si potrebbe proporre che il corso di scuola guida preveda un pacchetto di ore dallo psicoterapeuta per poter conseguire la patente. Sarebbe una bella selezione! Patente che potrà essere rilasciata con "guida vigilata" a seconda del livello di irritabilità riscontrata e soggetta ad eventuale ritiro immediato a fronte di attacchi d'ira di quel tipo. Contestualmente alle lezioni di guida, sulle precedenze e alle prove di parcheggio, si faranno simulazioni delle tante situazioni irritanti per questi soggetti, in particolare dovranno stare in coda dietro utilitarie e dimostrare di saper rallentare; si farà inoltre presente l'importanza della gentilezza, del rispetto, dell'attenzione e pazienza come atteggiamenti necessari alla guida e alla vita stessa.

La gentilezza è un valore perduto ormai. Siamo tutti 'usa e getta', in lavori e relazioni, nei rapporti interpersonali. Oggetti di consumo.

Ad ogni modo, se quelle misure non bastassero a contenere l'ego di questi automobilisti dai nervi fragili,  si potranno attrezzare le utilitarie con scritte scorrevoli sul lunotto posteriore: 

  1. 'Ciao Michael Knight!' 
  2. 'Attenzione: rischio di frenata improvvisa'. 
  3. 'Non sapevo di essere sul set di James Bond!'. 
  4. 'Tom Cruise riesce a guidare sulle due ruote laterali, e tu?'. 
  5. 'Non eri abbastanza bravo per la Formula1, eh?!". 
  6. 'Attenzione: sono positivo al Covid, se insisti freno all'improvviso, mi tamponi e quando scendiamo dalla macchina, ti tossisco in faccia'. 
  7. 'Lo so, fa rabbia essere Dio in un mondo di persone comuni'. 
  8. 'Non sapevo questa fosse la tua corsia preferenziale'. 
Accetto suggerimenti per le scritte...

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FILM INDIPENDENTI

Un figlio, se lo fai, resta. Ai miei non lo avevano detto! 

A volte le cose non vanno come ce le immaginiamo. Un amore, una amicizia... ma, se fai un figlio, dovrebbe passarti per l'anticamera del cervello che avrai degli impegni e delle responsabilità almeno per un certo tempo.

Eppure, sorpresa, qualcuno non solo proprio non se ne sente responsabile per nulla di quel figlio, ma riesce pure a sbolognarlo e a interessarsene solo per tormentarlo. Una specie di giochino su cui sperimentare il potere smisurato che ha un genitore.

Adesso, va bene essere distratti, ma totalmente coglioni no. E che cazzo.

I miei genitori sono entrambi coglioni purtroppo. Due su due. Vero che chi si somiglia si piglia: due imbecilli privi di senso della realtà, preoccupati solo di apparire... non si sa poi a chi dovrebbero interessare. Anche se una idea oggi me la sono fatta.

Eppure si svegliano ogni giorno convinti di avere dei diritti, una dignità e un valore. 

Ma sì, perché in realtà hanno preso la vita come un gioco dove le mosse sono puramente irrazionali e senza senso, tanto la realtà non esiste per loro. E' una cosa che inventano e adattano alle loro necessità, una cosa a metà strada tra una allucinazione e ad un film.

Così ho subìto due abbandoni importanti, sùbito all'inizio, e tanti abbandoni ripetuti e sistematici lungo tutta l'infanzia e l'adolescenza.

Mia madre, da madre, almeno ha provato a spiegarmi, un po' sbrigativamente, che non valevo niente per lei, che mio padre se ne era lavato le mani di me e così si sentiva in diritto di fare lei. Lo considerava un discorso sulle pari opportunità! Vedi, a volte, gli equivoci! 

Pazienza. 

Il fatto è che mi ha rotto il cazzo per tutta la vita quando le girava e senza fare la parte positiva che dovrebbe fare un genitore, indipendentemente da quello che fa l'altro! 

Macché. Il contatto corporeo con me la inorridiva, salvo venire a prendersi una cosa che assomigliava ad un abbraccio, credo, quando le pareva. Era sempre sotto forma di tormento e gioco sadico, una roba che nessun altro essere vivente avrebbe mai scambiato per affetto. Solo a lei pareva normale. Deve essere cresciuta su un altro pianeta.

E poi periodicamente raccontava di me al compagno di idiozia, mio padre, e lui le diceva di dirmi di chiamarlo. 

[Sconcerto, il mio!]

Così ho realizzato di aver vissuto un "Truman Show" di terza categoria.

Tutto ha senso se ambientato in un film, dove succedono le cose più incredibili perché ci sono gli effetti speciali. Così si spiegherebbe perché per loro è tutto così easy: sono attori che recitano un copione.

Io però devo essermi addormentata, perdendo qualche passaggio logico della storia che interpretano perché nella recita, da che ho memoria, non rendono le emozioni, sono mono espressivi e non si capisce un cazzo di quello che fanno.

Credo che sia andata così: un regista di ultimo livello ha dato loro la parte dei genitori in un film inizialmente di natura confusa, ibrida, mista tra romantico e dramma. Loro poi erano attori scarsi ma per questo economici... forse riciclati dal porno. Penso che il film sia stato un fiasco perché i miei genitori non sono riusciti ad interpretare la minima consapevolezza della loro genitorialità. Forse nessun regista ha spiegato loro che dopo aver fatto un figlio, per quanto in una finzione, avrebbero dovuto occuparsene poi. 

Invece nella storia un po' nevrotico/erotica e un po' dramma, ad un certo punto nasco io: lo spettatore è portato dunque ad immaginarsi un seguito a tre, mentre, improvvisamente, cambia la scena e si vedono solo loro due. Forse un colpo di scena! Loro dicono di fare i genitori ma non lo fanno. Il film si trasforma da pseudo Romantico a patetico Osceno. La trama si svuota, gli attori sembrano improvvisare una specie di delirio, ognuno per conto proprio. E lo spettatore rimane completamente spiazzato. Pure il figlio. Che cerca così di farsi adottare dallo spettatore ma senza successo.

Il film continua ed è sempre più avvincente per chi guarda perché è agghiacciante e, forse, in questo, meritevole di un premio per il coraggio a continuare a darsi da fare. E' assolutamente senza senso, di qualità talmente infima nella recitazione, nella scenografia, negli effetti speciali, da tenere incollati gli spettatori, curiosi di vedere la miseria fin dove può arrivare. Il regista forse è morto durante le riprese e il film ha continuato da solo.

Primo caso di film che vive di vita propria. Altri registi hanno provato a prendere in mano la regia ma hanno fatto solo un grandissimo casino. Il figlio si vedeva dentro allo schermo, ora che evitava di venire colpito per errore dai movimenti maldestri dei due genitori, ora con le manine e il visino appiccicato allo schermo invisibile a metà tra realtà e finzione. E' intrappolato lì, sul confine. Nè dentro, né fuori.

Poi è sparito. Ogni tanto ricompare per errore e i due lo usano come straccio per pulire e poi scompare di nuovo. Chissà che fine farà...

Che film di merda.
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08 giugno, 2020

LADY DEATH

Nel mio paese non vogliamo morire. Mai. Così ce le inventiamo di tutti i colori per vivere o far vivere un giorno in più i nostri cari e, piuttosto che morire, accettiamo di vivere una vita penosa a trascinarci dal letto al divano anche solo per stare 12 ore davanti alla televisione, quando va bene, se non rimanendo direttamente a letto a sperare di dormire. Tutto questo perché non si sa mai che si decida improvvisamente di vivere come non si è mai fatto in tutta la vita.

Arriviamo al punto di ingurgitare cocktail di decine di farmaci e di dipendere in tutto e per tutto da una badante. Ma forse, a quel punto, non siamo già più padroni della nostra vita, l'abbiamo data in franchising alla cara Signora.

Ad un certo punto la vita è per lo più una condizione di veglia anestetizzata e priva assolutamente di stimoli, emozioni e affetto, anche perché i familiari, spesso già incastrati in mille compromessi, nelle loro brevi e penose visite, ripetono solo che non devi fare niente… non fare sforzi, non fare un solo passo, non prendere iniziative, non osare di fare nulla,  pensa a tutto Lady Death, perché solo così non muori e loro non si sentono in colpa.

Insomma, devi solo sopravvivere e continuare a svegliarti il giorno dopo, rassicurando così gli altri che hanno fatto un buon lavoro. 

Molti genitori fanno lo stesso coi figli. Li nutrono, li portano dal medico, li lavano e vestono, comprano loro dei contentini e poi li piazzano davanti alla tv, a sopravvivere, perché ogni altra attività comporterebbe un rischio di delusione, oltre che una faticosa partecipazione attiva alla vita. Così sono certi bravi genitori, esattamente come sono bravi figli, impegnati a far sopravvivere tutti e, spesso, incapaci di vivere loro stessi.

Così, arriva il momento in cui ti presentano Lady Death, colei che gestirà il tempo del tuo  trapasso, la tua personale traghettatrice dall'al di qua all'al di là, spesso raffigurata come una donna corpulenta, generalmente sopravvissuta a terribili abusi nel suo paese per essere pronta a sacrificarsi con determinazione sul tuo talamo pur di emanciparsi da quella condizione. E poi nel mio paese ci sono più vecchi che bambini e i vecchi offrono il vantaggio che i loro sintomi di disagio possono essere ricondotti al loro stato di salute generale e non al rapporto di lavoro. Almeno in questo senso non fanno danni trigenerazionali come succede quando per sbaglio Lady Death non trova lavoro come badante ma come baby-sitter. Volendo puoi anche vendicarti di quella stronza di tua madre affidandola a lei nella versione integrale.

Eccola, Lady Death: una signora apparentemente gentile, di età indefinita e sangue freddo, così freddo che ti stupisci che possa circolarle qualcosa nelle vene. E, mentre le parli, inizi a sentire come un soffio freddo dietro alla schiena.

Eccola in tutto il suo agghiacciante splendore. Se sei fortunato avrà conservato un po' di umanità. Altrimenti sarà come vivere in un lager al tempo dei nazisti. Lady Death è lei stessa una sopravvissuta ai peggiori inferni e non ci andrà molto per il sottile. Ha dovuto lottare per rimanere viva e nessuno l'ha aiutata amorevolmente quando agonizzava. Se ti sei ficcato in quella condizione senza lottare, tanto peggio per te. Persino la sua educazione è avvenuta in perfetto stile "pedagogia nera". Insomma, Lady Death ci diventi dopo un certo addestramento, mica improvvisandoti.

Lady Death si riconosce per la sua particolare sensibilità di parlare di fronte al suo cliente, che considera già morto, di tutte le persone che ha accompagnato alla fine, non mancando di descrivere il loro ultimo viaggio insieme nei dettagli, compreso il più macabro, quello in cui il suo cliente si contorce per l'ultima volta e lei lo lava tutto per bene e lo fa trovare bello pulito e vestito pronto per il funerale. Queste sono le esperienze che quando le racconta fanno una buona impressione, evidentemente.

Generalmente, Lady Death avrà un nome finto, più o meno sempre uguale tra colleghe, Gabriela Mariana Caterina, come se fossero tutte una unica persona, Lady Death, appunto. Un personaggio familiare perché perfettamente inserito nella tradizione popolare e che prende forma prima nella fantasia e solo dopo nella realtà. Lady Death ha poi una sua immagine apparente: capelli cotonati stile Zia Assunta Iannantuono in Cacace del telefilm "La Tata", stesso suo abbigliamento anche se ha meno di 50 anni e vive ai giorni nostri, almeno nelle ore diurne, profumata e risoluta a prendere tutto il possibile.

Quando hai visto Lady Death poi vorresti morire ma ormai non puoi più, non disponi più di te stesso. E' lei la tua sola e unica padrona. E' lei che deciderà quando tirerai le cuoia perché da adesso in poi sarà lei a garantirti le funzioni vitali.

In bocca al lupo allora! Chissà se vale la pena continuare a vivere insieme a Lady Death. Forse vale la pena una riflessione su come viviamo prima che suoni al nostro campanello.
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05 giugno, 2020

KILL BILL


Certe relazioni meriterebbero un finale, simbolico ovviamente, come questo! Rapporti malati che originano da un disequilibrio, uno sbilanciamento dei poteri; rapporti verticali, dunque, dove i ruoli sono rigidi e ben definiti: manipolatore/padrone/oppressore/carnefice/sadico e manipolato/schiavo/oppresso/vittima/masochista. Entrambe personalità dipendenti, pilotate da bisogni primari insoddisfatti e inconsci.

Kill Bill rappresenta per me un percorso simbolico di liberazione dalla condizione di dipendenza di uno dei due protagonisti (Beatrix Kiddo), mentre l'altro (Bill appunto) cerca di mantenere la posizione di dominio, prima utilizzando la manipolazione, il ricatto morale, poi, attraverso la violenza.

Tutto il film simboleggia una condizione esistenziale tipica dell'uomo: una relazione  fondata sulle debolezze, messa in crisi da un evento significativo al punto da generare una sana evoluzione in uno dei due partner e una feroce rabbia proiettiva nell'altro. Kill Bill racconta anche della difficoltà e della fatica necessarie ad una reale e profonda "liberazione" da legami perversi.

Chiunque abbia vissuto un percorso di crescita, per quanto inserito in una realtà meno traumatica, può riconoscersi nella protagonista.

Il processo di liberazione può essere anche molto doloroso sul momento ma genera un cambiamento positivo irreversibile.

E' dunque auspicabile riconoscere e affrontare il proprio "Bill" interiorizzato, qualunque aspetto abbia. "Ucciderlo" simbolicamente, con la consapevolezza del proprio valore e della propria forza emotiva, con l'uscita dalla dipendenza. 

A questo scopo esiste il desiderio di cambiare, innanzitutto, il muoversi alla ricerca, e la psicoterapia, poi, per orientarci e strutturarci, imparando così a camminare nella giusta direzione. Per sistemare i "Bill" reali che ci perseguitano, invece, esistono prima di tutto la fuga appena possibile, l'attivazione di adeguate strategie di autoconservazione e la ricerca di aiuto. Uccidere, nella realtà, persino quando siamo perseguitati, tormentati, gravemente torturati e minacciati, creerebbe successivi ulteriori problemi di coscienza, etica e morale oltre che di libertà personale. Le molestie morali sono difficilmente dimostrabili. E questo i persecutori lo sanno bene. Dobbiamo quindi fare i conti con il principio di Realtà, il nostro Super-Io e le regole della nostra società, anche quando sono poco efficaci o addirittura insufficienti. La vita va protetta, difesa e continuamente garantita da noi stessi, innanzitutto attraverso la consapevolezza, il più efficace garante del rispetto dei propri diritti. 

A questo ho pensato vedendo Kill Bill… E di tutti i "Bill" incontrati nella mia vita, dedico questo pensiero e questo film a M.P.: hai detto bene quando, realizzato che avevi perso il tuo giochino, ti sei definito un mostro. Una consapevolezza durata un nano secondo, immagino, ma ormai non più un mio problema. Quanto ti somiglia, fisicamente, David Carradine e, psicologicamente, il personaggio che interpreta in Kill Bill! Stessa spietatezza, fino all'ultimo! Hai persino tentato la mia distruzione finale ma io, come Beatrix, durante il mio addestramento, evidentemente avevo imparato la tecnica di esplosione del cuore con cinque colpi delle dita e l'ho usata, mio malgrado, per difendermi. Perché per me sei morto. Il nostro duello finale assomiglia molto al loro anche se giocato tutto con le parole, parole affilate come lame.
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