21 dicembre, 2020

RICETTA EFFICACE PER REALIZZARE UNA PERSONA CHE ODIA

 Ingredienti:

- un bambino 

- traumi precoci

- ambiente connivente

- solitudine

- contenitore rigido con chiusura ermetica


Procedimento:

- Mescolare con decisione il bambino insieme ai traumi in un ambiente connivente all'interno del contenitore ermetico per tutta l'infanzia. 

- Lasciare in solitudine, in assenza di testimoni, per tutta l'adolescenza.

- Aprire il coperchio con cautela: il bambino adesso è un adulto incazzato nero a cui non è stato mostrato il vero persecutore, colui o coloro che gli hanno provocato tutto quel dolore, così odierà la prima persona che gli capiterà a tiro e avanti così fino alla fine dei suoi giorni. 

Ogni paese ha la sua variante ma la base resta sempre questa.

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20 dicembre, 2020

LA FIGLIA SELVATICA

[Consigliato leggere prima: L'Uomo Selvatico]

La Figlia Selvatica, rinominata qui Babbuina in onore di Fantozzi, essendo tutta la famiglia un cliché fantozziano, è la figlia non voluta dell'Uomo e della Donna Selvatica. La Donna Selvatica è qui rinominata Babbiona, per assonanza con Babbuina e indole stolta.

Si racconta, e a raccontare è proprio l'Uomo Selvatico, il padre, che la Babbuina sia stata un errore.

L'Uomo Selvatico è talmente poco avvezzo all'affetto che pare aver ripetuto più volte questa affermazione di fronte alla figlia e altri testimoni occasionali.

A questa affermazione è seguita poi la dimostrazione pratica di non provare nulla per essa se non mero senso del dovere. Se solo fosse uscito in tempo. Se solo avesse saputo che i bambini non si concepiscono solamente se si hanno rapporti frequenti! Accidenti! All'Uomo e alla Donna Selvatici non piace dare nell'occhio, così decidono di fare quello che va fatto sperando che passi in fretta. 

La coppia selvatica si imbarca suo malgrado in questa impresa, piena di speranza che presto ne sarebbero usciti e se ne sarebbero dimenticati.

Purtroppo però, a rendere tutto più sgradevole, la creatura inaspettata è una femmina! L'Uomo Selvatico è misogino e maschilista e non riesce ad immaginarsi una dannazione peggiore: una compagna e pure una figlia femmina da addomesticare!

Spesso si chiede a cosa servano le femmine oltre all'accoppiamento e a pulire e cucinare, perché debbano essere così impegnative! Se solo si potessero chiudere nello sgabuzzino insieme alle scope e tirare fuori solo all'occorrente! Sono esseri deboli, incomprensibili, pieni di cazzate nella testa che non si capisce una mazza di cosa pensino veramente. Che senso ha la loro esistenza? 

Gli anni passano e la Babbuina non fa che confermare la visione distorta che ha il padre delle donne: si fa sempre male, non ha propriocezione, soffre di asma e allergie strane, non capisce niente a scuola e, ahimé, ha preso gli stessi infernali capelli della madre! 

Più la Babbuina cresce, più le aumentano i capelli. Ci vogliono ore al mattino perché lei e la madre siano pronte per uscire dal bagno e, alla Babbuina serve il certificato medico per non andare in piscina con la scuola. L'acqua è per le Babbions ciò che la kryptonite è per Superman. Ore di phon e discorsi alle 5 e mezza della mattina tutti i giorni svegliano e traumatizzano tutto il paese da anni e la notizia si è ormai sparsa in tutta la provincia. La scuola non ha fatto obiezioni quando la Babbuina ha presentato il certificato medico di non idoneità all'attività sportiva in acqua. Le ripercussioni sociali di un evento del genere sarebbero state gravissime.

Nessuno così ha mai visto le due creature selvatiche con il loro vero aspetto prima del phon e della piastra. In paese ci sono delle leggende in proposito. E' noto che alcuni parrucchieri hanno dovuto far rifare l'impianto elettrico dopo aver tentato di domare quelle criniere impossibili. Altrimenti chi le sentiva! Son sempre dietro a fare i numeri "servizio clienti" per lamentarsi di tutto.

Ad ogni modo, tutte quelle catture per rendere più adeguata la Babbuina, oltre a disturbare la quiete pubblica, hanno reso la ragazzina profondamente insicura. I suoi genitori la guardano sempre come se fosse un oggetto impresentabile, un po' come loro, tant'è che non si mostrano spesso in giro e non frequentano nessuno. 

La mancanza di amore, le correzioni e l'isolamento pian piano modellano una ragazzina priva di vitalità e passione, dallo sguardo vuoto e incapace di esprimersi.

Nessuno dei Selvatici sa come ci si relazioni tra esseri umani, tanto meno tra genitori e figli. Spesso sono inopportuni, aggressivi e cafoni. E si stupiscono se l'Altro reagisce con sdegno ai loro attacchi.

Ad ogni modo, crescendo, la Babbuina, da insicura remissiva, diventa estremamente aggressiva. In principio nell'aspetto: si maschera con trucco pesante, sopracciglia tatuate spesse e scure, vestiti neri e azzardati, piercing e tatuaggi. Successivamente, grazie alle giuste frequentazioni, con un atteggiamento da vera bulla. Si rigira ai genitori che, intimoriti, tra sceneggiate, urla e pianti, la assecondano in ogni suo capriccio, nella remota speranza che qualcuno se la porti via prima o poi: ormai ha vent'anni. Fatto sta che la ragazza è ad oggi una scheggia impazzita: pur appartenendo ad una famiglia economicamente stabile, in un paese dormitorio di campagna, sembra uscita dalla periferia più povera della metropoli più degradata del pianeta. Ha persino iniziato a parlare un dialetto non suo ma che esprime bene la sua rabbia profonda che ora è pura cattiveria che usa contro chiunque le capiti a tiro. 

I due genitori selvatici paiono ogni giorno più impotenti di fronte a tanta malvagità. L'unica cosa che fanno per sopravvivere è assecondarla e coalizzarsi con lei contro gli altri per evitare di subire le sue ire.

Solo che gli altri sono i poveri vicini e gli occasionali frequentatori.

L'idea poi che questa bestia possa riprodursi a sua volta fa orrore e pena: nessuno vuole assistere ad un altro esperimento fondato sulla deprivazione.

Decisamente i due selvatici hanno fallito il loro compito. Avrebbero dovuto stare più attenti ad accoppiarsi vista la non intenzione di riprodursi e l'impossibilità di mettersi in discussione a causa della grave ignoranza e totale inconsapevolezza.

Purtroppo però la storia è ancora in corso: ce la farà la Babbuina a cambiare o si trasformerà inesorabilmente in un Ossuto* o in un Dissennatore**?

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* Cit. da "Warm Bodies", film di Jonathan Levine

** Cit. dalla saga di "Harry Potter" di J. K. Rowling

[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

12 dicembre, 2020

STRATEGIE DI AUTOCONSERVAZIONE: RADICAMENTO

In questa seconda fase della pandemia, quando hanno bloccato il mio lavoro sono rimasta a casa e non sono uscita per un mese e mezzo. Mi è parso un lusso questa volta poter stare in casa, rispetto a marzo quando sono andata a prendermi il covid dentro agli ospedali e in giro allo sbaraglio, nel tentativo disperato di assistere mia nonna nel suo straziante trapasso. 

In questo lungo periodo non ho sentito particolare bisogno di uscire. Giusto qualche giro a piedi sulle colline qui intorno, quasi più per dovere nei confronti del mio corpo e della mia pelle che per reale piacere. Non mi piace faticare in questo periodo, non mi dà gioia in questo momento. Sto esplorando la calma, la lentezza, il pensare con la mia testa. Impresa pericolosa questa per me se non avessi una buona compagnia. Il rischio concreto sarebbe quello di rimanerci impantanata dentro. Anche oggi mi sono chiesta se non stia sprecando il mio tempo. Ma le ricerche si scoprono valide solo alla fine. E un vero esploratore si spinge oltre i confini conosciuti, altrimenti non sarebbe una esplorazione.

La mia capacità di reagire in situazioni estreme, per quanto estremamente disordinata, disorganizzata ed emotivamente dispendiosa, è stata fondamentale nell'aiutarmi ad uscire dalle sabbie mobili della famiglia e delle successive relazioni sbagliate. Non sapevo nulla della calma, di chi fossi, di quanto valessi.

Un lavoro di rallentamento e graduale consapevolezza mi ha portato ad esplorare i miei confini più remoti e gli altri miei estremi. Nella nuova, rassicurante realtà che mi sono costruita intorno, ho rallentato fino quasi a fermarmi, in opposizione al precedente continuo muovermi per garantirmi la fuga in caso cattura. Ed è un attimo impantanarsi quando ci si sta ancora strutturando e si sperimentano sconosciute versioni di sé stessi. Ma non sono sola, qualcuno mi avviserà prima, no? Qualche volta è suonata una sirena ma era solo un falso allarme, poco più di una esercitazione. I tempi erano corretti, il senno di poi lo ha confermato. Comunque, che fatica ascoltarsi e procedere mentre tutti ti tirano e ti spingono! 

Così, in questa nuova fase pandemica, mi sono chiusa qui e ho riorganizzato ed esplorato lo spazio della mia casa. Ho dormito nel letto di riciclo degli ospiti, scoprendo che è più morbido del mio e che la morbidezza mi fa dormire meglio. Così, adesso, per addormentarmi indosso anche un maglione e una sciarpa di viscosa molto affettivi. Da quando la mia vita è fluffy, l'addormentamento è istantaneo. 

In questa casa ho messo le mie prime radici e sviluppato un senso di appartenenza. Questo luogo è fatto di amore, di legami, di emozioni, di mattoni, di sogni, di ascolto, di compromessi. Di questo è fatto il terreno nel quale si possono affondare delle radici solide che permettono di affrontare le tempeste. Certo, ci sono sempre dei parassiti, come i vicini, ma vanno messi in conto. Sono meno molesti i pappataci, persino dopo che mi hanno trasmesso la meningite virale, ma i vicini hanno anche dei pregi a differenza dei pappataci... scoprirli sarà la mia prossima missione.

In queste settimane ho molto apprezzato la mia casa, così perfetta nella sua imperfezione. Mi sono seduta a leggere, a scrivere, a guardare film e serie dappertutto, scoprendo prospettive nuove e nuove comodità. E' come se avessi espanso il mio spazio vitale a tutto il suo volume. Prima invece era piccolo e compresso in uno spazio minuscolo dentro di me.

Ho persino preparato uno spazio per lo yoga che ho fatto da sola qualche volta, prima delle ultime aggressioni del vicino. Dopo quelle, ho sentito ancora più forte il bisogno di radicarmi, procurandomi esperienze positive e calmanti. In fase acuta, lo yoga non mi calma. Uscire, andare via dopo un attacco mi farebbe sentire un'esule ancora una volta. Così scrivo per elaborare e guardo serie per dimenticare.

Ieri però il vicino inopportuno mi ha avvicinato per chiedermi se ce l'ho con lui dopo le recenti incomprensioni. Ovviamente dal suo punto di vista sono io che ho capito male. D'altronde il suo è il modo più efficace di relazionarsi che conosca: aggredire, deridere, insultare e addomesticare il prossimo. Un successone! Mi è parso in quel momento davvero molto piccolo e non ho infierito. Anche se ho continuamente la sensazione di non dire mai la cosa giusta per darmi giustizia. Un po' come succedeva nella mia famiglia. Ma adesso potrei felicemente rassegnarmi e abbandonare ogni tentativo di far capire qualcosa all'altro, tanto i suoi ragionamenti sono paradossali e ribaltano la situazione sempre a suo vantaggio. E non può capire niente. E' cognitivamente deprivato. 

Comunque ho deciso di guardare al vicino con altri occhi: potrebbe essere per me un po' come la siepe per Leopardi: grazie a lui son sei giorni che scrivo e, quando scrivo, mi sento come immagino debba sentirsi la ballerina dei bellissimi video di questo post: vitale, coordinata, creativa, libera.
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10 dicembre, 2020

AGGIORNAMENTI

I tempi cambiano e così anche le favole. Anche se la favola dei tre porcellini può avere ancora il suo senso: una mamma che mette i figli in condizione di emanciparsi e il confronto tra diverse strategie di autoconservazione sono tematiche dall'importanza quanto mai attuale. 

Suonare il flauto e il violino poi sono competenze da non trascurare né tantomeno sottovalutare. Se ci fosse stato un seguito a quell'inizio turbolento dei tre porcellini nel mondo, sarebbe potuto accadere che Tommy, violinista sopraffino, imparata la lezione sulla capacità di sapersi autoconservare, decide di fare qualcosa del proprio dono (suonare il violino), così come Jimmy aveva saputo riconoscere e valorizzare il suo (imprenditore e costruttore edile). E fu così che, perfezionando la sua tecnica e studiando, fu preso dall'orchestra filarmonica di Vienna, una delle filarmoniche più prestigiose e note al mondo. Dopo un decennio, decise di abbandonare la filarmonica suddetta per una meno conservatrice, discriminante e bigotta, scoprendo la passione per l'insegnamento e dedicandosi alla musicoterapia. Chi l'avrebbe mai detto.

Timmy, che suonava il flauto, invece, era un tipo molto sensibile e creativo ma anche molto disorganizzato e confuso. Viveva purtroppo all'ombra dei fratelli già realizzati, un violinista e un costruttore di successo, e non riusciva a credere in sé stesso. Aveva paura del pubblico, quindi difficilmente immaginava di poter intraprendere una carriera come quella di Tommy. E non amava costruire, per quanto fosse un abilissimo carpentiere. Cercava sé stesso nei modelli dei fratelli ma lui era diverso e unico proprio come lo erano gli altri. Non ricevere successo e riconoscimenti plateali lo faceva dubitare ulteriormente di sé. O forse dubitava perché aveva interiorizzato che se non dimostrava subito di essere un genio, forse non valeva la pena perdere tempo con niente, né valeva la pena la sua esistenza. Ma suonare lo rilassava, lo calmava, lo divertiva. Chissenefrega se non ci mangiava! Dopo decenni a cercare la propria strada, sempre al verde e sempre in crisi esistenziale, iniziò una formazione che poi divenne professione: quella dello psicomotricista. Siccome nessuno sapeva cosa fosse, per evitare figuracce, non gli facevano mai troppe domande. E da quel momento poté suonare senza sentirsi un fallito e giocare coi bambini per lavorare. Se non fosse stato per il guadagno scarso, fare lo psicomotricista sarebbe stato persino più appagante che fare il calciatore professionista. Invece l'incertezza per il futuro era cosa assai sfiancante e gli toglieva parte della gioia, sempre preso tra il piacere del lavoro e un certo desiderio di mettere su famiglia.

Jimmy dal canto suo era il figlio retto e rigorosamente giusto, il figlio responsabilizzato fin da subito, l'orgoglio della famiglia, il figlio che non delude e su cui poter sempre contare. Il figlio dotato che, caricato delle amorevoli aspettative di riuscita dei suoi genitori, si realizza nel lavoro mentre il suo matrimonio inevitabilmente naufraga. Ma non per colpa sua: semplicemente quella non era la donna giusta, una che non apprezza la famiglia (che tradotto ai giorni nostri quell'"apprezzare la famiglia" sarebbe stato = annullarsi in essa ma rimanere vitale per compiacere, serva della suocera e del marito e sua cornuta appendice).

La figura del lupo poi non era così tremenda. Andava pur bene un lupo che cerca di mangiare tre porcellini. Qualcuno poi doveva impersonare il male e il lupo si presta bene con quella sua boccaccia. Era poi stato riciclato da altre favole. Ci sta che un attore si specializzi in certi ruoli. Guarda Jack Nicholson!!! Le parti da pazzo serial killer le interpretava senza sforzo. Un successone! Ci sta che il lupo faccia la sua stessa fine. Far paura ha il suo vantaggio. Qualcuno certamente ti ama, magari al di là di uno schermo.

Anche se, ad oggi, il lupo è a rischio di nevrosi e di psicosi, prima ancora che di estinzione, nella favola dei tre porcellini non subisce maltrattamenti gravi e comunque si tratta di finzione. Nella nostra realtà invece, in cui giochiamo a Dio, ora reintroducendo il lupo, osservando se si moltiplica abbastanza, ora abbattendolo perché si è moltiplicato troppo e reintroducendolo ancora, il lupo si sente svilito e strumentalizzato. Soffre di vere e proprie crisi di identità, di depressione. Si sente un po' un cane. Abbiamo calpestato la sua dignità, il suo orgoglio, la sua fierezza. Era meglio quando stava peggio e faceva il cattivo nelle favole. Se potesse scegliere preferirebbe l'estinzione al controllo delle nascite che controllava benissimo da solo. 

Comunque, una versione della favola a cui il vicino dei tre porcellini assiste quotidianamente è questa.

I tre porcellini sono tre fratelli usciti nel mondo già molto incazzati. Tutti e tre abili con le mani, appena fuori di casa erano già pratici ed esperti di muri, attrezzi, macchinari, soldi. Molto giovani, hanno saputo ristrutturare insieme una grande casa in un bel posto per poi litigare di continuo fino a che uno solo di loro ha avuto la meglio facendo fuggire gli altri. Per un po' si è goduto quel paradiso tutto da solo.

Ma ben presto accadde che uno dei due porcellini fuggiti trova un inquilino per il suo appartamento e il porcellino perfido, non sapendo se sarebbe riuscito a farlo fuggire e in quanto tempo, tentò allora di addomesticarlo.

Il nuovo inquilino però, oltre che abilità pratiche come i tre fratelli, aveva qualcosa di diverso da loro. Il porcellino iniziò così a provare una naturale attrazione per questa nuova persona così affabile, attrazione che lo portava a tentare di manipolarlo. Gli si avvicinava sempre con una buona dose di diffidenza, come quella di un cane pastore. Ogni tanto gli scappava di pensare: "Forse di questo qui ci si può persino fidare". Ma erano brevi momenti dopo i quali si sentiva molto stupido. Il più delle volte si aspettava il bastone e così attaccava per primo per meglio difendersi. Insomma, vinceva il solito copione.

Ad ogni modo, il nuovo vicino era un tipo a posto. Il porcellino non poteva dire "in gamba" perché nel confronto naturalmente non si sentiva mai all'altezza di nessuno e preferiva guardare tutti dall'alto in basso, nonostante la sua scarsa statura morale e fisica. "A posto" era un aggettivo neutro e non implicava giudizi troppo qualitativi lasciandolo tranquillo con la sua insicurezza. 

Passarono gli anni e il porcellino scoprì che l'umanità offre cose diverse da quelle poche a cui era abituato. Non facendo poi esperienza del mondo ma vivendo chiuso da sempre in una bolla, non si era mai emotivamente emancipato.

Ad oggi il porcellino è comunque un gran scassacazzo. E' aggressivo, rumoroso e melodrammatico. Conviverci è a tratti faticoso, a tratti un vero inferno. Persino per il suo vicino, una sorta di Dalai Lama nostrano. Ma l'esperienza insegna che l'essere umano è sempre molesto. C'è chi è porcellino e chi il suo vicino. E chi è un po' come il lupo, quello delle magliette dei bambini, o delle targhe dei parchi naturali. Che va bene solo quando è a rischio di estinzione e regolato nella affermazione.

Proprio oggi comunque ho visto passare un lupo. Per davvero. Dalla finestra della cucina! Forse si trovava nella finestra di tolleranza degli umani. O forse è sfuggito alle limitazioni... Al porcellino non l'ho detto. 

Ho capito che, a lui e agli altri fratelli, la sera prima di dormire leggevano la favola originale de I tre porcellini e a seguire quella di Cappuccetto Rosso e altre classiche tristissime con terribili finali. Il loro eroe era il cacciatore perché aveva il fucile. Ecco perché sono così incazzati. Troppe aspettative! Di camminare solo sul sentiero ed essere sempre buoni; di non disubbidire altrimenti muori; di essere prede o cacciatori. Di sparare al male fuori, mentre si sentono male dentro, senza poterlo spiegare.

Passare questa seconda fase della pandemia isolata con i vicini sempre più molesti, cafoni e aggressivi mi sta provando. Spero solo che scrivere mi salvi psichicamente. E che il lupo venga a salvarmi. Almeno so che si aggira dalle mie parti. Come nei film, quando il protagonista cazzuto va a salvare la ragazza strafiga, rapita apposta per catturarlo. In questo momento sono in pigiama con un berretto di maglia in testa e forse mi è un po' cioccata l'ascella... in giro ci sono i cacciatori con i cani, il lupo mi salverà lo stesso?

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08 dicembre, 2020

FINALE 4 - IL BAMBINO FILOSOFO

[Leggi prima: Storia a bivi]

Al parcheggio prima del bosco, i paesani si trovano con tutta la famiglia: uomini, donne, bambini, cani, un gatto al guinzaglio.

E' una manifestazione pacifica. Alcuni non erano proprio d'accordo con questo modo di protestare, infatti avevano scelto di partecipare ad un altro finale. Questi qui sono i rimanenti, quelli più vicini al giovane parroco del paese.

Sono allegri, cantano e, mentre aspettano di partire, allattano seduti sull'erba. Hanno infatti neonati al seguito che di tanto in tanto piangono ma subito vengono cullati da un papà con la fascia, mentre la mamma si incammina con le amiche. 

Camminare certamente calma i più piccini.

Molti ridono, scherzano, sono giovani anche se fuori forma. Poi c'è il sottogruppo di allenatissimi, le tutine! Si sono subito staccati per scaldarsi (sono vestiti leggeri perché sanno che suderanno), per mantenere il ritmo cardiaco ideale, il consumo, l'allenamento... salutano i figli o ne trascinano qualcuno attrezzato proprio come loro. C'è pure il parroco con una mountain bike autocostruita. Nel tempo libero percorre i sentieri di questi luoghi in bici o a piedi ed è stato a casa dell'Uomo Selvatico per benedirla.

In questa piccola comunità di ibridi, un mix tra fricchettoni, libertari, steineriani, no vax e gente senza pretese, c'è un bambino. Si chiama Filippo e ha 8 anni e mezzo. 

A quell'età persino in un paese è ancora concesso ai bambini di essere idealisti e rivoluzionari. Curiosi e intelligenti. Soprattutto ai maschi.

Filippo è un bambino tranquillo ma vitale. Ha le idee chiare su cosa vorrà fare da grande: il ricercatore. Cosa ricercare, lo deciderà dopo aver cercato bene un po' tutte le cose.

Filippo è la speranza dei suoi genitori, di un mondo migliore, e la speranza dei paesani più antichi, che cresca cacciatore e con poche pretese. 

Fatto sta che Filippo ha una idea sua propria rispetto a questa faccenda: chiedere all'Uomo Selvatico perché sia così cattivo.

Il gruppo si trascina su per il bosco: le tutine in testa, il parroco nel mezzo e gli altri spalmati su tutto il sottobosco.

Dopo un tempo indefinito, per alcuni pochissimo, per altri decisamente troppo, il gruppo si compatta davanti ad una casa isolata. Ovviamente era stato rumoroso fino a lì e, anche se all'ultimo aveva ridotto le chiacchiere ad un brusio, ormai l'Uomo Selvatico li aveva sentiti arrivare e li attendeva affacciato alla finestra della cucina.

- "Che volete voi lì?".

Metteva davvero i brividi. Le famiglie si strinsero per sentire meno freddo. L'accoglienza li aveva gelati. Ai più emotivi veniva proprio da piangere.

Filippo allora si fa avanti e, senza argomentare nulla, chiede: "Perché sei cattivo?".

L'Uomo Selvatico non poteva credere alle sue orecchie. Cattivo! Lui! Così sempre nel giusto, così integerrimo. Era visibilmente esterrefatto.

Disse al bambino: "Chi ti ha insegnato l'educazione, eh? Come ti permetti? Cattivo, io. Roba da matti".

Il bambino allora disse: "Non ti ricordi quando sono venuto su per il bosco e ti ho incontrato e tu, invece di accogliere la mia curiosità e offrirmi un po' della tua saggezza, mi hai respinto preoccupato che qualcuno vedendoti con un ragazzino potesse accusarti di essere un pedofilo? Quel giorno avevi il cane, era una delle rarissime passeggiate che gli concedevi ogni qualche anno. E tu mi hai detto di stargli lontano, che non volevi problemi tu, che se il cane mi avesse morso, io ti avrei denunciato per andare a soldi. Perché fanno tutti così. Ma il cane era vecchio e stanco e tanto triste. Non aveva mai morso nessuno, neppure te, figuriamoci se avrebbe morso un bambino che lo accarezzava e gli parlava con affetto. Poi ti ho chiesto un bicchiere d'acqua e tu ti sei arrabbiato e mi hai detto: 'Fila via! Sciò! Non entrerai nella mia casa piccolo indisponente'".

Ecco, quel giorno non avevo capito, ero solo rimasto molto male. Ma poi, a freddo, ci ho pensato e ripensato. Che sei cattivo. Non sapevo perché ma doveva esserti successo qualcosa in un tempo lontano. Magari quando eri bambino come me e quando ancora avevi fiducia. Perché io ce l'ho. Fiducia nei mei genitori, negli amici, nelle persone che incontro. Ovviamente la mamma e il papà mi hanno detto che devo stare attento agli sconosciuti ma attento non significa odiarli, aggredirli e respingerli sempre e comunque, nel dubbio, prima che possano anche solo pensare di avvicinarsi a me. Se fosse così, non avrei mai conosciuto Alberto, il postino che mi ha suggerito di scrivere delle cartoline alla bimba che mi piace tanto, non lo fa nessuno e avrei fatto certamente colpo e adesso alla bimba piaccio anche io. Oppure Paolo, Viola, Valentina, tutte persone della mia età o più grandi che prima non conoscevo e che mi hanno insegnato qualcosa o sono mie amiche e ci vogliamo bene. Così, quando Riccardo ha cambiato casa, non mi sono sentito troppo solo. E, insieme agli altri, sono andato a trovarlo con il papà di Valentina, che non conoscevo ma che è una persona musicale. Suona tanti strumenti e la sera mi insegnerà la chitarra e certo spero che non sia pedofilo ma nel caso scappo via di corsa e porto via pure Valentina. I miei genitori sicuramente le vorrebbero bene. Ma tu sei cattivo, pensi male di tutti, ti isoli per paura che gli altri ti freghino ma ti stai fregando da solo secondo me. Pensaci allora, e quando avrai la risposta puoi venire giù, ho tanti amici che mi proteggono, non potrai farmi del male neanche se lo dicono gli altri. Che poi cosa ti importa cosa dicono gli altri? Non ti sembra che sia un po' come non vivere. Non vivo altrimenti chissà cosa pensano gli altri! Non porto il cane a spasso, non parlo con i bambini, non sono gentile perché tutti possono essere cattivi. E l'unico cattivo però sei tu quando ti comporti così. Ciao, dormi bene".

Nel paese dei mostri selvaggi, Maurice Sendak
L'Uomo Selvatico si era ammutolito. Nel frattempo si erano affacciate alla finestra anche la Donna Selvatica e la figlia. Guardavano Filippo con una smorfia tipo quella sulla faccia delle sorellastre di Cenerentola. Esatto: la Donna Selvatica sembrava proprio la matrigna di Cenerentola e la Figlia Selvatica una sorellastra! Erano brutte perché avevano sul viso sempre un'espressione piena di livore. Chissà come sarebbero state se avessero sorriso sinceramente, si chiedeva Filippo mentre le fissava ricercando la bellezza che crede si trovi in tutte le persone.

Stufa di quei dolci occhi puntati sul suo brutto muso, la Figlia Selvatica gridò isterica: "Vai via stupido ragazzino! Come ti permetti di parlare così a mio padre! Vai via, via, hai capito!!!".

Allora il parroco salutò la Famiglia Selvatica con un augurio: "Speriamo di vedervi presto in paese e di condividere un po' di gioia insieme a voi a Natale. Quest'anno la parrocchia ha in programma tante iniziative per grandi e piccini. Veniteci a trovare. Abbiamo bisogno di nuove energie". 

Scettici, i tre Selvatici grugnirono disillusi. "Vorrà certamente dei soldi", pensarono tutti e tre contemporaneamente come se in tre condividessero un unico cervello.

Il parroco, non ricevendo segnali di vita, si rivolse allora ai suoi fedeli: "Cari tutti, è stata una bella passeggiata, Filippo è stato molto in gamba, adesso possiamo tornare a casa e in parrocchia prima che il freddo ci intorpidisca. In parrocchia, per chi vuole, ci aspetta una minestra, potremo scaldarci al fuoco e parlare di questa avventura. 

Tutti insieme si incamminarono verso la valle, con nel cuore un rinnovato sentimento di amore.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

FINALE 3 - SCRIVILO TE

[Leggi prima: Storia a bivi]

"Finale 3 - scrivilo te" faceva rima, quindi l'ho messo per terzo invece che per ultimo. Tutto qui.

Dopo aver letto "L'Uomo Selvatico" e "Storia a bivi", ti chiedo gentilmente di inviarmi il finale che immagini tu, così da ampliare i miei orizzonti. Da sola certamente non immaginerò mai tutti i possibili scenari e certamente rischio di ripetermi nelle risposte da dare all'Uomo Selvatico. 

E' sempre utile vedere le cose da altri punti di vista. Dà speranza che magari una soluzione si trova a questa convivenza difficile che è quella degli uomini sulla terra.

Intanto grazie per aver letto.

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FINALE 2 - FRATELLO PORCELLO


I paesani sono pronti, hanno un piano: attendere la notte, muovere tutti insieme e addentrarsi nel bosco a cercare l'Uomo Selvatico. Sono tutti armati di rimostranze e richieste di cambiamenti. Ed essendo buio presto, sperano non faranno troppo tardi. 

Fortunatamente alle sei è già buio e i paesani sono radunati al parcheggio subito prima del bosco. Sono nervosi, arrabbiati e il gruppo sembra amplificare il desiderio di rivalsa. Qualcuno ha un atteggiamento un po' troppo sopra le righe, il suo vociare chiassoso potrebbe attirare l'attenzione. C'è chi cerca di calmare gli esaltati e chi si lascia contagiare.

Finalmente iniziano a muoversi. Forse camminare li scalderà e allenterà la tensione generale. Qualcuno grida improperi: ''Te la faremo pagare, mostro'', ''Vediamo chi avrà paura questa volta'', ''Esci fuori vigliacco!'', e così via. Camminare, per qualche ragione, non sembra aiutare.

La fatica inoltre ha un effetto negativo sull'umore di molti che pian piano contagiano anche tutti gli altri: il pessimismo, lo sconforto, la disillusione, la rabbia, il rancore sono i sentimenti più comuni. Qualcuno inizia a sudare e questo non gli piace. Non se lo aspettavano di dover sopportare tanto per avere giustizia. Altri hanno l'affanno e desiderano fermarsi a fumare una sigaretta ma non vogliono rimanere indietro, da soli, col rischio di trovarsi faccia a faccia con pericolosi animali. Tocca di proseguire per forza e ciò alimenta il malcontento. Un circolo vizioso.

Nel gruppo, ognuno per conto proprio, si concentra attentamente sul fastidio, scoprendo di provare solo quello. Fastidio per le scarpe strette, dure, fredde, per la fatica di camminare, per l'incertezza del risultato di quella operazione, mica possono picchiare a sangue qualcuno, finirebbero in galera! Se solo fossero protetti da qualche legge apposta. Farsi giustizia da soli, a qualcuno darebbe grandi soddisfazioni.

Persi tra pensieri e preoccupazioni e tra le lamentele generali, il gruppo improvvisamente si arresta.

Gli ultimi non vedono e non sentono cosa sta succedendo, così si radunano a mezzaluna e finalmente scorgono l'impedimento a marciare.

E' un tizio tozzo e minaccioso, piantato in terra come un tronco. Che sia l'Uomo Selvatico? Non corrisponde a nessuna descrizione ma sicuramente appare ostile.

Uno del gruppo, il più iroso, si fa avanti e i due sbracciano e urlano per 20 minuti. Allora il paesano fa segno al gruppo di avvicinarsi per dargli man forte ma il tizio tozzo imbraccia un fucile e dice: "Fuori dalla mia proprietà o vi denuncio. Quel coglione di mio fratello abita nel bosco ma con il vostro chiasso disturbate me e io non lo sopporto. Via di qui, subito".

Tutto chiaro adesso: quello era uno dei tre fratelli porcelli di cui parla la leggenda. Pare aver costruito una casa indipendente ma sempre in quel bosco, dopo aver abbandonato il condominio ristrutturato assieme agli altri. Qualcuno, ora che ci pensa, lo ha già incontrato, un vero spaccone, uno che ha sempre ragione, uno come suo fratello!

Il tizio tozzo, si chiedono tutti, allora va considerato anche lui Uomo Selvatico? Se sì, sarebbero di fronte ad una vera e propria epidemia!

Pensandoci bene, forse è già una pandemia perché a guardare e ascoltare meglio alcuni paesani, sposati con uomini e donne di altre regioni o nazioni, non sono molto diversi dal fratello porcello né da certi uomini politici prepotenti, arroganti e aggressivi presenti in tutto il mondo.

E se l'Uomo Selvatico non stesse solo confinato nel bosco? Se fosse il nostro vicino, il nostro cugino, se fosse anche un po' dentro di noi?

Queste le riflessioni di una parte del gruppo. L'altra parte non rifletteva... assomigliava più ad un branco di scimmioni in cattività.

Adesso il paese aveva un altro problema: canalizzare quell'aggressività su un obiettivo più raggiungibile e più facile da identificare fuori di sé.

Alcuni paesani il giorno dopo vendettero casa e lasciarono il paese. Le malelingue dicevano che erano gay e psicologi. Per loro, meglio perderli che trovarli!

Nel giro di qualche anno il paese si spopolò e rimasero solo uomini selvatici e litigiosi. Un giorno litigavano e l'altro pure. Ma se glielo chiedi, loro ti diranno che non hanno problemi con nessuno. Che vanno d'accordo con tutti purché siano ragionevoli... proprio come loro!
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[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

07 dicembre, 2020

FINALE 1 - COS'HO DIMENTICATO?

[Leggi prima: Storia a bivi]

I paesani sono pronti, hanno un piano: attendere la notte, muovere tutti insieme e addentrarsi nel bosco a cercare l'Uomo Selvatico. Sono tutti armati di rimostranze e richieste di cambiamenti. Ed essendo buio presto, sperano non faranno troppo tardi.

La tensione è alta ma l'unione fa la forza ed esorcizza l'angoscia. Era un sacco poi che non facevano qualcosa tutti insieme, che non avevano un progetto comune. Ritrovarsi in tanti, anche solo visivamente, scalda il cuore.

Essendo autunno inoltrato fa un freddo porco: è dunque probabile che l'Uomo Selvatico sia rintanato in casa e i paesani contano sul suo intorpidimento. 

Così si incamminano tutti imbacuccati, la tensione muove l'adrenalina e lo spirito di unione tiene alto l'umore. Risalire il bosco è faticoso e il silenzio è rotto soltanto da scrocchi di sterpi e da respiri affannosi.

Il freddo avvolge e risveglia alcuni sensi: gli occhi gelati sembrano vedere più nitido, il naso pare meglio percepire gli odori e più distinti, così come si accorge dell'aria quando passa dalle narici. Le orecchie sono pronte a cogliere presenze, come un cinghiale che si allontana grugnendo o un ruscello che scorre. 

Pian piano, passo dopo passo, metro dopo metro, il cameratismo scivola in convivialità e la compagnia si rilassa. A coppie, a piccoli gruppi, si inizia a parlare. Il tempo scorre via veloce e il sentimento muta.

Si scorda sempre qualcosa a casa o in macchina. E c'è sempre un momento in cui lo si realizza.

Ad un certo punto, quasi contemporaneamente, tutti si accorgono di una cosa che manca: la motivazione a proseguire. 

Si sa che gli uomini di oggi sono volubili e individualisti. Mentalmente pigri e incapaci di perseguire un obiettivo comune. Affetti da perdite frequenti di motivazione.

In questo caso invece, la motivazione iniziale non era andata perduta. Era rimasta al parcheggio, appoggiata alla macchina, sostituita da una più forte, nel momento stesso in cui tutti si sono trovati. Lo stare insieme ha assunto una motivazione propria. Come quando, prima dei cellulari ci si trovava in piazza e, aspettando che tutti arrivassero, si faceva serata in piedi, lì dove si era.

Comunque oggi è andata così, il bello di ritrovarsi e stare insieme ha fatto dimenticare la frustrazione delle incomprensioni quotidiane. Chissà, magari domani verrà in mente qualche nuova soluzione.

[Ascolta: Instant Kharma, John Lennon]

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

STORIA A BIVI

[Leggi prima: L'Uomo Selvatico]

Il tempo passa e dell'Uomo Selvatico si continua ad avere notizie di fastidi, spaventi e aggressioni. Con un caratteraccio come il suo, si è presto diffuso un generale malcontento tra i paesani: non è più possibile fare una battuta di caccia, andare a raccogliere funghi, asparagi, castagne o semplicemente passeggiare nel bosco, senza temere i suoi agguati, le sue catture, i suoi stupidi discorsi, le sue rimostranze, le sue urla. 

Succede così che i paesani si organizzano per dare all'Uomo Selvatico una lezione. 

Tecnicamente si chiamerebbe reciprocare e, si sa, non è proprio l'ideale. Anzi non fa che alimentare inutilmente il conflitto. Ma tra i paesani non c'è uno psicologo e, se c'è, sta zitto. La psicologia è la seconda causa di esilio da paese dopo l'omosessualità. E il bosco è già occupato.

Tornando all'Uomo Selvatico, forse invitarlo a cena per Natale ed essere amichevoli sarebbe la vera soluzione. Volergli bene e trattarlo con amore. O, semplicemente, essere una testimonianza di affetto e rispetto. Non che non ci si sia provato, ognuno a modo suo! Purtroppo però, l'ottusità e la diffidenza dell'Uomo Selvatico è un grosso limite alle sue relazioni e alla pazienza di chiunque. 

Infatti, quando si convince erroneamente (cosa che sarebbe facilmente dimostrabile se solo ti stesse a sentire e ti desse il beneficio del dubbio) che l'Altro è la causa di un suo problema, non c'è modo di farlo ragionare. Sembra in totale balia della sua allucinazione. Come una furia, ti si para davanti ad un centimetro, paonazzo, balbettante, sputazzante, accecato dalla rabbia. E, fintanto che permane in quella modalità, è totalmente impossibile comunicare con lui. Nel frattempo hai pure il tuo bel da fare a tenere a bada la tua reazione nervosa autonoma. C'è chi ha una finestra di tolleranza ampia e chi scarsetta ma, prima o poi, di fronte all'Uomo Selvatico, a tutti capita di provare la reazione nervosa autonoma. Ad alcuni poi, scatta prima il simpatico (attacco e fuga) con altrettanta crisi di rabbia furibonda e, ad altri, il parasimpatico (congelamento). Fatto sta che entrambe le reazioni sono piuttosto impegnative per l'organismo e, dopo averle sperimentate entrambe più volte in compagnia dell'Uomo Selvatico, in breve tempo protendi per lasciar perdere qualsiasi strategia relazionale e opti per l'evitamento. Cerchi solo di dribblare l'avversario e di rimandare il più in là possibile la prossima occasione di scontro, sperando che passerà in fretta. 

Dopo che ha sfogato, l'Uomo Selvatico se ne va e ti lascia lì, stecchito, con le budella aggrovigliate intorno al collo, prigioniero di un senso di impotenza che ti dà la nausea. 

Certo, capita di provare tenerezza di fronte a quei rari momenti di lucidità di quel poveraccio. E' persino commovente, ad un certo punto, in qualche rara occasione, vederlo capire, osservarlo collocarti nel giusto, nella casella del non colpevole e fare marcia indietro rispetto alla manifestazione palese di un suo inconscio desiderio di distruggerti. (Inconscio perché lui non si accorge proprio di essere aggressivo: per lui assalirti senza lasciarti possibilità di replica e, un minuto dopo, sentirsi a posto è avere un normale confronto). 

Ma sono magre consolazioni. Se sei emotivo, ti ci vogliono giorni per riprenderti dal senso di impotenza provato o dalla rabbia e dal desiderio di fuga castrato. E, in quei giorni, è peggio che essere mestruati. Si è intrattabili, nervosi, si ha paura di tutto, si piange spesso e ci si sente estremamente vulnerabili! Come un animale che, solo, realizza di poter essere braccato in qualunque momento!

Quindi, il desiderio dei paesani è comprensibile anche se sbagliato e potenzialmente pericoloso. Serve davvero dare una lezione all'Uomo Selvatico? Che tipo di lezione poi? 

Cosa gli faranno i paesani?

Finale 1 - Cos'ho dimenticato?

Finale 2 - Fratello Porcello

Finale 3 - Scrivilo te

Finale 4 - Il bambino filosofo

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

06 dicembre, 2020

L'UOMO SELVATICO

«È sostanzialmente un comune mortale che vive al di fuori del consesso umano preferendo i luoghi isolati, la montagna, il bosco. A contatto con la natura ha esaltato al massimo le sue caratteristiche fisiche che gli assicurano la vita: forza, robustezza, fiuto eccezionale per inseguire la preda. È timido,
rifugge dal prossimo isolandosi al punto tale da attenuare le sue capacità psichiche fino alla stupidità. Non si lava né si pulisce. Non si rade né si taglia i capelli cosicché questi si fondono raggiungendo le ginocchia. Per questo diventa una figura terrificante esaltata dalla pelle di caprone con cui si ammanta. Un atto gentile lo intenerisce. A volte sente il bisogno di fraternizzare con gli uomini. Allora si ferma insegnando loro
i mestieri della malgazione, della lavorazione dei latticini di
cui è maestro.» [Giuseppe Sebesta]

Pare che un Uomo Selvatico abiti nel bosco intorno al paese dove vivo. Rispetto alla descrizione che ho trovato su Wikipedia di Giuseppe Sebesta, l'Uomo Selvatico nostrano abita sì in un bosco, in una casa isolata, ma insieme ad altre persone. 

Chissà, magari non ha trovato un compromesso migliore...

Fatto sta che questo personaggio mi ha molto incuriosito. Così ho deciso di approfondire.

Dalle notizie che ho potuto raccogliere in paese, egli interagisce sì con altri esseri umani, i vicini, ma con il solo intento di educarli in modo che, pur convivendoci, possa non accorgersi della loro esistenza o, tutt'al più, possano servirgli a qualcosa.

Da alcune testimonianze, sembra che l'Uomo Selvatico continuamente aggredisca, senza ragione umanamente comprensibile, i malcapitati suoi vicini: ora perché hanno steso una maglia umida con una gruccia allo scuro della finestra che si vede dal suo giardino, palesando la propria evidentemente sgradita presenza; ora perché hanno messo alle finestre delle zanzariere con il velcro che a lui però sembrano orrendi stracci; ora perché passano l'aspirapolvere! Pare che in questa circostanza soprattutto, l'Uomo Selvatico faccia le scale a due gradini per volta, fino all'appartamento dei vicini, per attaccarsi al loro campanello e bussare violentemente alla porta, come se la casa stesse andando a fuoco, facendo prendere un colpo a quei poveri disgraziati. Tutto questo poi per dire sputazzando: "Cos'è sto casino? Avete un trattore in casa?". Segno evidente della demenza di cui è afflitto e a cui fa riferimento il folclore sull'Uomo Selvatico. 

L'archetipo locale vuole l'Uomo Selvatico accompagnato e persino riprodotto. Anche se per "errore". Quindi, per essere precisi, in questo caso specifico si ha a che fare con una intera famiglia selvatica. Un caso più unico che raro!

La Donna Selvatica sembra avere caratteristiche simili all'Uomo Selvatico, certamente con sfumature più femminili: si narra sia una donna attenta a salvare le apparenze, intenta a domare il pelo, capace di ricatti morali, portatrice di facciata di cortesia e abile teatrante dalle sceneggiate grandiose. 

Si racconta che, quando la Donna Selvatica è contrariata col marito o la figlia, le sue grida riecheggino per tutta la vallata. Nessuno però ha avuto ad oggi il coraggio di avventurarsi per verificare. Istintivamente i paesani si rinchiudono nelle proprie case e non muovono una paglia.

L'Uomo e la Donna Selvatici, dunque, si somigliano molto. Entrambi, risulta dalle testimonianze, sono psichicamente svantaggiati, pieni di pregiudizi, decisamente malfidati ed estremamente aggressivi. Vivono isolati dal resto del paese e sono abili a far perdere le loro tracce. Certo è che nessuno vorrebbe incontrarli da solo nel bosco. A volte, quando l'Uomo Selvatico è in vena di incontri, attira con del cibo un cane da caccia durante una battuta, costringendo così un cacciatore ad andare a cercarlo nonostante il timore. Inevitabilmente egli incontrerà l'Uomo Selvatico che lo costringerà a conversare a quel suo modo assurdo. Si sa di questi incontri grazie al gestore del bar del paese, attento a raccogliere le testimonianze confuse degli sventurati cacciatori che si ubriacano per dimenticare. 

Della Figlia Selvatica si sa molto poco. Sembra che l'Uomo Selvatico, in un momento di rara confidenza dettata da evidente stato di stupidità amplificato da quello di ebbrezza, abbia confessato ad un pastore, che rientrava tardi dal pascolo per cercare il cane, che fosse stata un incidente! 

Evidentemente, l'Uomo e la Donna Selvatici sono così deprivati psichicamente, da non essere completamente consapevoli della propria sessualità oltre che della propria mostruosità. 

Fatto sta che la nuova creatura, figlia dell'Uomo e della Donna Selvatici, vivendo fin dalla nascita con genitori cotanto deprivati, in un isolamento assolutamente inadeguato allo sviluppo sano di un bambino, ha visto molto precocemente attenuarsi le proprie capacità psichiche, incorrendo anch'essa in uno stato di grave stupidità.

Non si sa se il processo sia reversibile ma è grande il sospetto che non ci sia margine di miglioramento.

Si narra che non ci sia umano ad aver riscontrato nel tempo alcun miglioramento nell'atteggiamento dei Selvatici. Mentre qualcuno dice di aver osservato un costante peggioramento nelle competenze umane e sociali della figlia che, a vent'anni quasi, si racconta passi le giornate a letto, urlando isterica di rabbia per un nonnulla e alzandosi solo per mangiare. Una vera bestia.

Il folclore, in alcune tradizioni, vuole l'Uomo Selvatico un uomo civile e sensibile che si ritira dal mondo perché incompreso e bistrattato; in altre, è descritto come un primitivo, un troglodita.

In questo caso, l'Uomo Selvatico e la sua famiglia possedevano evidentemente capacità psichiche già molto attenuate prima ancora di isolarsi nel bosco.

Diciamo che questo mito dell'Uomo Selvatico in particolare pare aver subito delle contaminazioni con la favola dei tre porcellini, rendendo il folclore locale molto colorito, piuttosto curioso e decisamente unico.

Infatti, si racconta che l'Uomo Selvatico, prima di riuscire ad allontanare i due fratelli con i quali aveva ristrutturato il vecchio casolare in cui attualmente vive, viveva insieme a loro, ognuno in un appartamento secondo le proprie possibilità economiche. L'Uomo Selvatico era il più povero dei tre e gli è toccato l'appartamento più brutto. Ma, oltre che il più povero, era, a detta di tutti, il più stupido e cattivo. Per diversi anni ha fatto una gara a chi fosse più stupido e cattivo con gli altri due fratelli, sapendo di avere grandi possibilità di vincerla. E infatti vinse alla grande! Nel giro di pochi anni, entrambi gli altri due porcellini, quello più ricco con la porzione di casa più grande e quello intermedio, proprietario dell'appartamento sopra quello dello stupido vincitore, sono fuggiti a gambe levate.

Grazie a quello che fino a quel momento era stato soltanto un difetto, grazie dunque all'insuperabile stupidità coltivata con dedizione da tutta la vita, il porcellino povero/Uomo Selvatico aveva finalmente realizzato il suo sogno: il totale isolamento!

Purtroppo però, il porcellino di mezzo riuscì in corner a vendere il suo appartamento ad un forestiero, gettando nuovamente nello sconforto l'Uomo Selvatico che subì un evidente peggioramento nel carattere: da quel momento avrebbe combattuto contro un totale sconosciuto, senza poter contare sull'impoverimento psichico dell'altro, come era stato per i fratelli.

Così il porcellino stupido/Uomo Selvatico si è rimboccato subito le maniche e ha iniziato la sua opera di tormento, alternata ad una sorta di rieducazione del nuovo vicino di casa. Se non riuscirà a cacciarlo, pensa, gli darà un'altra forma!

Quando poi il nuovo vicino si è accompagnato, l'accoglienza della Famiglia Selvatica fu terribile. Pur sperando che la donna fosse solo "una troia di passaggio", racconta un cacciatore testimone di una confidenza, la Famiglia Selvatica tentò disperatamente di accelerare il processo di espulsione in ogni modo.

Invece, non solo dovette accorgersi che forse la troia non era di passaggio, ma notò pure che, aggressione dopo aggressione, neppure si piegava alle sue condizioni.

Dell'Uomo Selvatico si continua a perdere le tracce. Ogni tanto si percepiscono degli echi lontani, molto probabilmente urla isteriche della moglie e della figlia. Si immagina il suo aspetto. Si teme di incontrarlo da soli nel bosco. E ci si chiede come stiano i loro vicini. 

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[Questo racconto è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia dell'autore oppure sono usati in chiave romanzesca. Ogni somiglianza con fatti o luoghi o persone esistenti o esistite è puramente casuale].

26 novembre, 2020

SCELTE, AMORE E ZOMBI

Se ci concentrassimo sulle scelte che facciamo continuamente, ogni istante della vita, potrebbe venirci un attacco di panico. Scegliamo in continuazione. Consapevolmente o meno, guidati da un bisogno, da un desiderio chiaro o nella totale confusione. Ma pur sempre scegliamo. Continuamente. E, scegliendo, diamo forma al nostro destino. Il fottuto destino. Altro che predeterminazione fatale dell'accadere! Il destino è il frutto del nostro scegliere. Ed è raro che il destino possibile sia uno soltanto! Quindi, più che il problema di avere un destino predeterminato, l'essere umano ha il problema di avere infiniti destini da poter creare. Certamente il copione famigliare aiuta a sfoltire le nostre infinite possibilità, riducendole drasticamente ad un numero finito. Ma ne abbiamo comunque tantissime a disposizione. 

Scegliere è faticoso, anche quando sceglie per noi il sistema nervoso autonomo. Scegliere con consapevolezza poi è faticosissimo. Anche perché la consapevolezza spesso arriva dopo svariati tentativi di scelte insoddisfacenti. 

Ricapitolando, per scegliere bene ed essere artefici di un destino sorridente, certamente qualche scelta la sbaglieremo. Di meno, se proveniamo da una famiglia che ha tramandato l'arte della consapevolezza di generazione in generazione, invece di ricominciare ogni volta da capo! Di più, se proveniamo da zombi che vanno avanti a testa bassa e non si fermano mai a sentire, a riflettere e a pensare e che si presentano come brutta copia di quelli prima di loro.

Oltre ad avere infinite possibilità tra cui scegliere, abbiamo pure svariate intelligenze molto diverse tra loro e spesso organizzate in compartimenti stagni. 

Data la complessità dell'uomo e l'horror vacui a cui necessariamente è soggetto, è normale che la tendenza sia quella di semplificarsi l'esistenza, riducendo drasticamente la complessità della realtà incerta, in poche semplici certezze. Solo che, tra semplificare un pochino e uccidere l'essenza stessa dell'umanità, in mezzo passa un mondo di possibilità. 

E, continuamente, umani a diversissimi stadi di semplificazione, di sviluppo delle diverse intelligenze, di consapevolezza dello scegliere si incontrano e, inevitabilmente, si scontrano.

Continuamente. 

Si capisce che vivere è un casino e le droghe spesso hanno un iniziale valore terapeutico, per alleviare il disagio di una responsabilità enorme già solo per sé stessi, figuriamoci per altri: scegliere mentre annaspiamo nella confusione e nell'incertezza è una condizione fetente. 

E fu così che nacquero i negazionisti, i no-vax, i terrapiattisti... Scherzo. E fu così che nacque il male di vivere: come cazzo si fa a trovare il coraggio di scegliere quando, per farlo con un buon livello di consapevolezza, dipendi, prima, dalle scelte di qualcuno prima di te e, poi, dipendi dalla tua capacità di sopportare il dolore causato dagli errori di quelli prima di te e dei tuoi, subito dopo e ad essi collegati?

Che cazzo. 

Se poi sei circondato da una umanità miserevole di zombi, di non morti né vivi, dove, da chi, come dovresti imparare a scegliere? 

Ecco la grande tragedia umana: imparare a scegliere decentemente prima di essere morti per davvero.

E' una tragedia perché la vita di chiunque è costellata di scelte di merda. E siamo tutti destinati a fare delle scelte del cazzo. La qualità della vita dipende da quanto le scelte del cazzo portano poi a quelle soddisfacenti. Allora sì che ci siamo destinati bene. Che abbiamo creato qualcosa di nuovo e che ci siamo, come dicono tanti, realizzati. 

L'esistenza migliora se pensiamo che sbagliare è una condizione inevitabile (contrariamente alla moda in auge fino almeno almeno agli anni 2000, del bianco e nero, del giusto e sbagliato, del lineare, del genitore e dell'uomo che non sbaglia mai) e che non dovrebbe contare l'aver sbagliato di per sé, ma cosa ci si fa con quell'errore. Le scelte del cazzo fatte erano il meglio che potessimo fare in quel dato momento della nostra vita di un po' zombi che eravamo. Col tempo però, siamo maturati un pochino, siamo cresciuti, siamo diventati persone più consapevoli, che hanno imparato dai propri errori, dopo averli ripetuti il giusto numero di volte necessario all'apprendimento. 

Una magra consolazione ma l'unica che ci resta.

Lo zombismo è una metafora perfetta della condizione umana di sempre: una malattia che colpisce l'uomo riducendolo ad un mostro che si trascina in preda al proprio istinto di mangiare e che (secondo i registi moderni) guarisce grazie all'amore. Alcuni hanno capito che i mostri della nostra vita e della terra in generale sono persone che non sono state amate e che non sanno amare: individui incapaci di provare empatia, sociopatici che, proprio grazie a questa mancanza, raggiungono un senso di appagamento solo violando i diritti degli altri e qualsiasi regola di comune convivenza. Per i sani di mente, queste persone non possono che portare morte e distruzione. Per tutti gli altri, sono un esempio di riscatto. 

Purtroppo, come rappresentato nel film sugli zombi Warm Bodies, ci sono stadi della malattia reversibili e altri no e che creano rispettivamente gli zombi e gli ossuti. Allo stadio di ossuto, sei talmente trasfigurato che non puoi più tornare indietro e puoi solo fare terra bruciata attorno a te. Ci sono molti esempi di ossuti intorno a noi, nella nostra vita famigliare e nella politica attuale. Nel film era più immediato riconoscere e distinguere gli zombi dagli ossuti. Nella vita reale, invece, è più complesso. Ad alcuni si rizzano i peli del corpo quando sono vicini ad uno zombi e provano nausea e un malessere diffuso se nei paraggi c'è un ossuto. Data la difficoltà a riconoscere zombi e ossuti nella realtà, temo che la pandemia dello zombismo non terminerà mai. Gli ossuti mietono vittime dalla notte dei tempi e continueranno, più o meno sempre. Per impedire che una pandemia distrugga l'umanità, il numero degli ossuti deve diminuire.

Aggiungo una testimonianza positiva e poi chiudo con questo delirio: sono felice. Nonostante provenga da una famiglia di zombi, da un ambiente di zombi e sia stata cresciuta da un ossuto, sono riuscita a trarre qualcosa di buono dalle mie scelte infelici. E a tratti sono orgogliosa di quello che sono riuscita a fare partendo da quella realtà: ho messo una buona distanza fisica tra me e il luogo nuclearizzato e abitato dagli zombi (e soprattutto dagli ossuti) da cui provengo. Abito il rifugio dei miei sogni: quello in cui mi sento a casa, protetta dal mondo esterno. Certo, nei miei sogni non c'erano vicini zombi ma i sogni sono sogni e gli zombi ormai sono dappertutto perché sono la pandemia più resistente e difficile da superare per l'umanità. Bisogna fare attenzione ma conviverci pure un pochino e voler loro bene. Si vede che a volte batte loro il cuore. E poi non sono gli zombi dell'infanzia e non sono ancora ossuti, almeno credo! 

Infine, lavoro con i bambini, la parte bella dell'umanità e la speranza di una umanità migliore! 

Prima di scegliere, inoltre, ho imparato ad ascoltare le reazioni del mio corpo e ad integrarle con i ragionamenti. Il corpo o la mente, presi singolarmente non hanno quasi mai ragione. Bisogna farli dialogare. Un'arte! Che si impara nel tempo, con l'esempio e l'esperienza. 

A tutti gli zombi: lo zombismo è reversibile ma la cura inizia alzando lo sguardo da terra e ascoltando i micro battiti del vostro cuore e poi camminando barcollando verso ciò che lo fa battere più forte!

Agli ex zombi e a chi ha delle ricadute: non credete a chi vi dice che non valete niente! Soprattutto non date retta a quella vocina ossuta del cazzo che talvolta emerge dal profondo come un eco lontano o un chiasso assordante e che vi svaluta e fa vacillare. Avete sconfitto un virus letale e lottate contro le ricadute, siete forti e coraggiosi ed estremamente creativi! E quante più sono le vostre cicatrici, tanto più grande è stata la vostra forza e il vostro coraggio per superare le difficoltà che avete incontrato. Non siete degli sfigati perché a voi è toccata una vita infame, siete degli eroi sopravvissuti a battaglie spaventose, che non si sono arresi nonostante il dolore e la sofferenza e che costruiscono dalle macerie.

Soprattutto e contrariamente a quello che si vuol fare credere e che si ostenta sui social, sappiate che tutti sono entrati in contatto con il virus dello zombismo. E non esistono vite tutte sorrisi e successi. Proprio dietro quel bisogno di sbandierare allegria, splendore, successo, bellezza, ricchezza, si cela un profondo desiderio di riscatto da una condizione profonda in cui ci si è sentiti fragili, perdenti, inadeguati, impotenti, in cui ci si è vergognati.

Far credere che avere successo significhi potersi esibire belli, vincenti e sorridenti e che chi soffre sia uno sfigato, uno che probabilmente si merita di soffrire e che si martella pure i coglioni con seghe mentali, è sintomo di grande disagio. I modelli attuali sono degli esibizionisti dal sorriso scintillante e con la carta di credito fumante.

Una accecante illusione. 




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03 novembre, 2020

LO SPROVVEDUTO RILUTTANTE

Pandemia atto secondo.

Da maggio a ottobre abbiamo vissuto una "tregua" che ognuno ha interpretato secondo il proprio buon senso. Nel cambio di stagione, come succede per i capelli, il buon senso di tutti ha avuto un calo fisiologico e va sostenuto con degli integratori freschi di stagione: i DPCM autunnali. Quelli estivi sono scaduti e non sono più efficaci. Anzi, ad oggi, sono piuttosto dannosi.

Far comprendere a chiunque che i DPCM estivi sono scaduti richiede tempo e pazienza prima che ci si senta in buon numero persuasi a smettere di assumerli. Un popolo parsimonioso come quello italiano, in perenne crisi economico/sociale, non si fa certamente intimorire da una data di scadenza.

Insomma, nonostante i media attuino il consueto lavaggio del cervello, c'è chi non ascolta altre campane finché non ha terminato, secondo il proprio buon senso, i DPCM estivi, che comunque già prendeva un po' a modo suo e servivano per modo di dire. 

Tutti gli altri, chi più, chi meno, faticosamente e soffrendo, si adeguano alla nuova stagione, peraltro abbastanza simile all'inverno/primavera precedenti, diciamo niente di poi così nuovo per lo meno. 

In autunno, trovarsi di fronte a quello che, dato l'atteggiamento avulso dalla realtà, potremmo chiamare Lo Sprovveduto Riluttante, può essere una esperienza forte, persino al limite della sopportazione e tanto più terribile quanto più vedi violato il tuo e l'altrui diritto a proteggersi. 

Infatti, di fronte agli eccessi dello Sprovveduto, non si può fare a meno di sentirsi esposti a minacce, fino a sentirsi completamente invasi quando oltrepassa violentemente il confine del buon senso di chiunque presente, abbattendo con una raffica di colpi di tosse incontrollati ogni anche minima possibilità di proteggersi. Perché, comprensibilmente, al tempo della pandemia (ma, per me, in qualunque altro tempo), che uno sprovveduto qualsiasi ti tossisca in faccia e nel piatto, argomentando tanto non è coronavirus (pure mago!), è inaccettabile. 

E verrebbe da incazzarsi. 

Eppure mantengono tutti il controllo e semplicemente invito educatamente Lo Sprovveduto Riluttante ad indossare la mascherina e a ritrovare un atteggiamento più rispettoso verso il prossimo. Oltretutto che i nostri ospiti rientrano nella fascia a rischio e hanno acconsentito ad ospitarci purché mantenessimo le precauzioni del caso.

Ma non si può fare a meno di preoccuparsi. L'immagine de Lo Sprovveduto Riluttante che si presenta senza mascherina e con evidenti sintomi influenzali (raffreddore forte, tosse, malessere diffuso), e tossisce, senza proteggersi, in faccia a persone e sul cibo in tavola è disarmante e allarmante. Lavarsi le mani per uno così certamente deve essere considerato inutile e infatti se ne guarda bene dal farlo.

A me personalmente è capitato in tempi non di pandemia di informare i miei ospiti e chiedere loro se non fosse il caso di rimandare il nostro incontro a causa di un mio raffreddore forte. In tempo di pandemia, Lo Sprovveduto Riluttante ha imposto la sua condizione, presentandosi senza essersi confrontato prima sul suo stato di salute con le persone con cui avrebbe fatto il viaggio in macchina, avrebbe mangiato e condiviso gli spazi della casa; una volta assieme, poi, non ha alcun riguardo, deve essere invitato più volte ad indossare la mascherina e persino a non tossire sguaiatamente. Non solo: argomenta ottuso che è solo un normale raffreddore. Come se un "normale" raffreddore possa essere cosa gradita. Come se in questo momento avere i sintomi di un normale raffreddore non fosse ragione sufficiente a determinare quarantene e tamponi e preoccupazioni angoscianti. 

Ma la questione è tanto più grave tanto più è profonda e solida l'inconsapevolezza de Lo Sprovveduto Riluttante. Inconsapevolezza della gravità in cui versa il proprio buon senso. 

Perché, al tempo della pandemia (ma anche in un qualunque altro tempo), uno che entra nella casa in cui ti trovi, spavaldo e strafottente, marcio di raffreddore e ti saluta tossendo in faccia a tutti e sul cibo pronto in tavola, senza neppure tentare di coprirsi e che ha pure da ridire di fronte al tuo gentile invito ad avere un comportamento più rispettoso, deve essere buonsensodepresso e molto maleducato. Anzi, deve essere forse cerebroleso. Perché neppure un adolescente, ancora privo del pieno possesso della corteccia prefrontale, si comporterebbe in modo tanto cafone. 

Ma Lo Sprovveduto Riluttante lo fa perché evidentemente non sa cosa sta facendo e non lo può neppure capire: quando provi a spiegargli, infatti, minimizza, si indispone, argomenta chiassosamente, insomma, vuole avere ragione!!! E questo fa preoccupare.

Così, il giorno dopo, quando di nuovo incontri Lo Sprovveduto Riluttante visibilmente peggiorato e ancora senza mascherina negli spazi in cui dovrai fare colazione e stare, capisci che le condizioni del suo buon senso sono gravissime e, forse, irreversibili. 

A questo punto perdi la pazienza.

Dopo aver sfogato urlando il senso di impotenza e di violazione subito, te ne vai, sperando di non esserti preso niente. E comprendi, come mai prima, il perché Conte debba fare i DPCM restrittivi, i lockdown parziali e debba colorare l'Italia dal giallo al rosso, escludendo il verde dalla cartina.

Caro Sprovveduto Riluttante, per poter stare in una comunità bisogna aver superato con successo la fase egocentrica e oppositiva, essere capaci di autoregolarsi e di comprendere le regole sociali della comunità con cui ti trovi a convivere. Se all'alba dei trent'anni ancora manifesti i tuoi punti di vista e agisci senza tenere l'Altro in nessuna considerazione, significa che qualcosa durante lo sviluppo psicoaffettivo è andato storto e bisogna integrare urgentemente. Essere accettati incondizionatamente, tosse in faccia compresa, lo si chiede e ottiene dalla mamma e dal papà da bambini, poi c'è il passaggio al gruppo in adolescenza e infine arriva il giudizio con l'età adulta. Da adulto, comportarsi come un bambino oppositivo o un adolescente chiassoso, provocatorio ed eccessivo, può far ridere (qualche volta), imbarazzare (il più delle volte) e infastidire (spessissimo) chi ti sta intorno. Ignorare le emozioni dell'Altro e perseverare in questi atteggiamenti guasta necessariamente le relazioni. 

Beffeggiare le norme anti covid mentre gli ospedali si riempiono, le attività si fermano e le persone cercano un compromesso vivibile tra proteggere e non lasciare soli i propri anziani è semplicemente inaccettabile.

Crescere è dura per tutti ma necessario. 

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19 ottobre, 2020

LE PREVISIONI AL TEMPO DELLA PANDEMIA

Forse chiudono. 

Forse non chiudono.

Forse chiudono qualcosa.

Prevista forte incertezza.

Abbondanti interrogativi.

Consistenti preoccupazioni.

Litigi e felicità a sprazzi qua e là.

E' consigliato non pensare al futuro né al passato e concentrarsi sul presente. E basta.

Buon lavoro.

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10 ottobre, 2020

LA MATRIOSKA

Io ho una matrioska.

Dentro dentro, ha un nucleo denso e compatto di sofferenza. Si è creato alla morte del padre e si è indurito col tempo. 

Questo nucleo è contenuto dentro ad una bambolina, i cui tratti dipinti del viso sono colati, deformandole i connotati. Si intravede una bocca spalancata in un atto disperato di prendere aria senza successo.

C'è una terza bambolina, sembra aver ripreso a respirare ma ha il viso tirato e gli occhi persi.

La quarta bambolina rappresenta una ragazza tormentata. Ha cambiato espressione: si notano dei piccoli occhi azzurri, duri e una bocca sottile. Solo per chi guarda bene ha un aspetto inquietante perché ambivalente. 

La quinta bambolina rappresenta una donna apparentemente sicura di sé e ostile. Il suo sguardo è dipinto con attenzione, l'aspetto curato a sembrare una persona dotata di stile. Tiene malamente in braccio un neonato, su di lei un accessorio decisamente stonato.

La sesta bambolina rappresenta una donna furiosa. Il neonato è adesso una bambina di pezza ricoperta di spilli. Il dolore espresso dalla bambina è terribile e assomiglia a quello della seconda bambolina.

La settima bambolina rappresenta una strega brutta e volgare. Ha perso la sua bambina ma le dà la caccia in continuazione.

L'ottava bambolina è quella che contiene tutte le altre: rappresenta una donna perduta che si crede onnipotente. Sostenuta da perversa intelligenza, inganna ingenui e conoscenti e tiene tutti legati. Nella stretta, i parenti sanguinano, la figlia è quasi morta. Il suo unico scopo nella vita è nutrirsi degli altri attraverso ricatti e tormenti. E ci riesce bene. Incredibile quanto sia difficile liberarsi dal male.

Per legge, le matrioske non si possono scambiare, regalare, bruciare o buttare. Ognuno ha la sua e se la tiene, con tutto il suo carico di male o di bene. 

C'è una tassa da pagare sulla propria matrioska in termini di infelicità. Più male contiene, più, chi la possiede, soffre. 

Si può non considerarla. Per quanto difficile, dal momento che non sta mai zitta e che, solo perché sei al mondo, necessariamente passi per i suoi ricatti.

Speriamo che cambino le leggi o che si trovi un cassetto blindato e insonorizzato in cui archiviarla.
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