04 ottobre, 2020

OCCASIONI

Non serve andare nella giungla per vivere avventure, per provare qualcosa di nuovo, per sentire la tua vita minacciata da qualcosa che non sia provocato dall'uomo. O dal Covid. Basta rimanere comodamente a casa propria, magari sul divano, dopo il crepuscolo.

Inizialmente non sai se hai solo dormito poco, se quell'indolenzimento agli occhi è dovuto agli schermi attraverso i quali osservi troppo spesso il mondo. Pensi che basterà dormire.

Ma poi ti svegli e il fastidio è lo stesso del giorno prima. Anzi, quell'indolenzimento agli occhi, oggi, è un mal di testa deciso. Nessun altro sintomo accorre in aiuto per una diagnosi.

Passa un'altra notte e un altro giorno. Il mal di testa diventa feroce. Così feroce da costringerti a contorcerti alla ricerca di una posizione di sollievo che pare impossibile.

Così chiami il medico che ripete pedantemente la sua visione della vita: "Se non hai patologie particolari, lascia lavorare il sistema immunitario. Al massimo, ti mando a fare un tampone-drive, giusto per escludere il covid. Hai la patente?". 

E tu hai davvero preso la laurea e l'abilitazione? Perché ti ho appena detto che non sto in piedi, vomito a spruzzo e non trattengo gli antidolorifici, per cui il dolore è insopportabile. Magari esistesse solo il covid. Stronza. Evidentemente mi odi.

Allora chiamo il 118. Forse loro mi ascolteranno. 

Mi ascoltano e, soprattutto, mi caricano sull'ambulanza. Avrebbero preferito mi visitasse a casa il mio medico ma il mio medico neanche lo trovo al telefono. 

Non nascondo un certo timore a recarmi in ospedale dopo quanto visto succedere a marzo in un certo ospedale. Ma questa è un'altra regione e un altro tempo. Speriamo bene.

In pronto soccorso hanno le idee chiare e un medico molto gentile. Mi sembra di essere in Doc - Nelle tue mani e mi sento già meglio. Solo mi mandano a piedi a fare la pipì in un vasetto, fuori dal reparto. Il cesso sembra quello di Trainspotting: è tutto pisciato e il copriwater non sta sollevato. Io non posso pensare di fare uno squat per pisciare, tenendo su la schifosa tavoletta con una mano e posizionando il contenitore per le urine con l'altra. Non avrei poi altre mani per asciugarmi e, in quella posizione, rischierei di vomitare per lo sforzo, o di svenire per aver osato muovere la testa in tutte le direzioni, testa che continua a pulsare e fare male, un male cane.

Decido allora di pisciare d'in piedi. Tanto era un giorno e mezzo che non bevevo, potevo certamente contare sulla disidratazione. Infatti riempio appena al minimo il contenitore, in piedi tutto bene, nessuno svarione, nessuno sforzo, ho pure centrato bene l'anatomia femminile. Il cervello funziona ancora bene.

Esco dal cesso e seguo il camminamento arancione che dovrebbe riportarmi dentro al pronto soccorso. Peccato che sia previsto uscire ma non rientrare. Mi tocca così di aspettare fuori della porta, in piedi per miracolo, che qualcuno esca. Dieci interminabili minuti. Fosse venuto in mente a qualcuno di venirmi ad aprire.

Aprono per caso, entro sotto sguardi perplessi, raggiungo la mia barella e mi sdraio. Qualcuno torna da me. Compiuta la missione, mi sono finalmente meritata gli antidolorifici! Prima, dell'inutile paracetamolo in vena, poi, altra roba più decisa. E intravedo una speranza all'orizzonte. 

Mentre attendo un miglioramento, contorcendomi sulla barella, assisto alla processione di spagnoli vacanzieri coi sintomi del covid e di giovani preoccupati perché partecipanti ad una certa festa Erasmus. Tutti lì per il tampone. Poi ci deve essere una signora malata di Alzheimer perché le ripetono in continuazione e con tono sempre più forte le stesse cose. Ma lei imperterrita continua a fuggire dalla barella, a cadere per terra, a farsi tirare dei nomi.

Io nel frattempo, dopo molto, inizio a sentirmi appena un po' meglio. Mi sento come se mi avessero picchiato e fossi contusa in tutto il corpo. Il dolore persistente lascia il posto ad un indolenzimento diffuso, a tratti acuto ma meno intenso.

Qualcuno fa l'ennesima cattura all'anziana signora e il via vai di potenziali 'incoronati', intervistati uno per volta dal medico di turno che ripete le solite cose come un mantra, mi fa da ninna nanna. Mi svegliano poco dopo per iniziare una serie di esami. Già solo essere riuscita ad addormentarmi mi sembra un miracolo.

Infine mi ricoverano per farmi una puntura lombare, decisiva per una diagnosi, fino a quel momento fatta solo per esclusione.

Mi scortano tre medici e due infermieri... mi viene voglia di fuggire... Non faccio a tempo a pensare, mi trattengono in posizione fetale, neppure mi lasciano vedere gli attrezzi del mestiere e mi congelano e pungono la schiena. Dovevo essere la prima volta di quel giovane medico perché gli altri intorno erano tanti, davano molti consigli e gli facevano complimenti...

Poi mi mettono a nanna, senza cena e dicendomi che l'operazione mi farà venire mal di testa! Dio santo! Dopo qualche ora infatti chiamo per avere un'altra dose di quell'ottimo antidolorifico. 

Seguono 4 giorni di catture, alcune inutili ma non si poteva sapere. La ripresa è lenta ma costante. La mia compagna di stanza fa molto rumore e, sorpresa, ha una badante. 

Allora capisco che sono lì per quello: la meningite virale da pappataci è una scusa. Dovevo superare il trauma della badante rumena. 

Da quando è morta mia nonna, solo vedere e sentire parlare una badante rumena mi fa accapponare la pelle. Una vera e propria sindrome da stress post traumatico.

Quei giorni di osservazione mi hanno fatto riappacificare con la realtà che la vita si gioca su un terreno difficile, decisamente infingardo. Che l'essere umano, poi, si comporta da bestia anche quando potrebbe scegliere, sulla base del trattamento ricevuto durante la sua formazione e dell'insegnamento che ne ha tratto. Che è così e basta, che bisogna farsene una ragione, che, quando possibile, devo assolutamente rifugiarmi in un altrove e non pensare oltre a tutte queste cose. 

Ad una settimana dalle dimissioni dall'ospedale sono ancora un po' provata. Domani però torno a giocare. Ho pianto, per mia nonna, per l'orrore, per la badante rumena, per tutta la tristezza accumulata in questi mesi. 

Adesso, forse, sono meglio attrezzata per le prossime sfide.
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