10 ottobre, 2017

CHIEDIMI SE SONO FELICE

Finita l'estate trovai il coraggio di lasciare l'università, sopravvissi alla terribile crisi familiare e sopravvissero anche loro e due anni dopo lasciai il mio ragazzo, quello con la madre pazza. 

In tutto quel periodo che ci volle per liberarmi andai avanti di moto circolare finché non fui abbastanza sicura di non saltare in mille pezzi.

Tale era la consapevolezza che non avrebbe potuto essere diversamente da così che il momento arrivò. Il giorno dell'annuncio del mio ritiro dall'università nella mia pancia si era come creata una protezione dagli stimoli che altrimenti arrivavano diretti provocandomi dolori atroci. Si era abbassato il volume delle voci esterne che mi urlavano contro. E mi sentivo viva. Ero in grado di sostenere lo scontro e, sopravvissuta, muovevo i primi passi sulle macerie della mia vita di prima. Non sentivo niente se non i miei desideri e la spinta della mia vitalità ritrovata che ancora una volta mi spingeva al movimento perché il movimento mi garantiva la via di fuga da tutto ciò che mi soffocava. 

Cominciai ad andare in barca a vela; nelle città di mare molti hanno la barca e cercano equipaggio o una ragazza con cui farsi l'avventura. Io riuscii a non farmi scopare da nessuno nonostante il mio grande bisogno di riconoscimento, di affetto e vicinanza e veleggiai moltissimo per un brevissimo periodo. Ero tosta. Questo piaceva alla gente e piacere agli altri pure mi faceva sentire bene. Dopo tanto disprezzo, non mi sembrava vero.

Fu poi il momento di andare in montagna: l'arrampicata, le grotte, lo sci-alpinismo, la mtb, il torrentismo...frequentavo moltissima gente con cui facevo mille cose. Sperimentai i miei limiti, la mia resistenza, la mia capacità di far fronte a difficoltà in ambienti ostili, la mia resistenza emotiva, il controllo del mio corpo.

Cambiai attività nel tempo ma non mi fermai mai per diversi anni. Fermarsi anche solo un week-end, una settimana, un giorno, avrebbe potuto significare stagnare, l'inizio della fine. 

Il ragazzo che incontrai all'epoca era super sportivo e insieme abbiamo condiviso molte passioni. Lui mi incoraggiava a spingermi oltre ai miei limiti, ad allenarmi e la nostra relazione sembrava più il rapporto tra un allenatore e il suo atleta e, successivamente, quella di un comportamentista con il suo paziente autistico.

Solo più tardi mi accorsi che non era poi così diverso dai personaggi della mia storia, del mio copione familiare: al di là della facciata accogliente, una novità rispetto a prima, era una persona perversa e manipolatrice che trovava in ragazze insicure e fragili come me le candidate con cui stabilire più facilmente un legame di dipendenza. All'epoca lui non era in grado di stare alla pari in una relazione matura perché i suoi bisogni primari di affettività e la sua rabbia repressa verso la figura materna non elaborate lo condizionavano pesantemente spingendolo a sottomettere l'altro affinché non gli sfuggisse come gli era sfuggita la madre, emotivamente poco disponibile; da adulto era spinto da quella sofferenza a sottomettere emotivamente la fragile partner per tenerla stretta a sé e nell'intimità concepiva solo rapporti sadici che chiamava disinibizione. 

Nella quotidianità però era apparentemente molto disponibile, accogliente e lusinghiero, affidabile per certi versi e questo lo aiutava a creare quel tanto di confusione nella testa già confusa delle sue prede insicure.

Gli sono finita nella ragnatela come un insetto. Sono persino riuscita a convincere me stessa che avesse ragione lui a presentarmi a tutti come la sua ragazza border-bipolare che solo lui era in grado di gestire. Evidentemente non dovevo avere una grande sicurezza in me stessa se rimanevo. E come ho potuto non accorgermi del motivo per cui mi presentasse così: non sarebbe stato facile allontanarmi da lui senza rischiare che gli altri poi dubitassero di me. Come poi qualcuno fece. 'Come faremo con lei senza lui che la gestisce?', nonostante io frequentassi gli altri da sola, come se lui potesse qualcosa a distanza. Come è stato facile intrappolare me e ingannare gli altri. 

La storia durò meno della prima ma la sofferenza fu comunque tanta. E soprattutto lui aveva creato intorno a me un clima di dubbio sulla mia stabilità psichica che io ho contribuito a consolidare con le mie stesse mani confermando così le sue attribuzioni spontaneamente perché convinta da lui. Inoltre, quando discutevamo di qualsiasi cosa tra di noi, anche se avevo ragione chiudeva il discorso accusandomi di vaneggiare, di essere border-bipolare. Sempre! Questo a volte mi faceva incazzare e incazzarsi pubblicamente per una con la fama che mi aveva costruito attorno era una conferma della mia instabilità, non l'evidenza di venire esasperata.

Solo mia madre aveva osato tanto e forse anche per questo non lo avevo riconosciuto. Ho interiorizzato molto bene le contraddizioni dell'amore perverso materno ed evidentemente faticavo a riconoscerlo negli altri, almeno all'inizio della mia rinascita. 

Visto che lui si era creato una facciata di grande successo e affidabilità e che io non facevo altro che confermare direttamente o indirettamente le sue diagnosi, inconsciamente mi sentivo sempre più in trappola. 

Persino quando risultavo simpatica, piacevole agli altri e alcuni avanzavano con lui dubbi circa la mia follia, mi faceva delle partacce accusandomi di falsità, di recitare, di non essere me stessa, dicendomi che dovevo mostrarmi per quello che ero. 

Chi sarebbe rimasto con uno che ti etichetta pubblicamente border-bipolare mettendo a tacere con questa scusa qualsiasi conversazione non fosse di suo gradimento, costruendo una trappola intorno a te pronta a scattare al minimo sentore di ribellione? Chi se non una come me, con una storia di merda sulle spalle e la mia insicurezza.

Il suo vero aspetto mi fu chiaro quando smisi dapprima di assecondare le sue perversioni sessuali chiedendo che venissero rispettati i miei limiti come io avevo accolto le sue fantasie senza giudizi e, non ascoltata, alla fine smisi di andarci a letto. Lì venne fuori la sua vera rabbia proiettiva e a me fu chiaro il mostro che avevo davanti. Non sono stata picchiata per questo, tutto si è svolto molto più sottilmente, la violenza fisica diretta sarebbe stata evidente anche a lui, così contorto. Fui insultata con profonda stizza perché non volevo scopare con altre donne o farmi frustare tutte le volte appesa ad un chiodo del soffitto e altro ancora. Questo è bastato a farmi risvegliare.

Solo che tradirlo prima di lasciarlo ha fatto sì che ancora una volta lui apparisse come una vittima e io quella fuori controllo.

E che dire degli imbecilli che hanno sguazzato nel pettegolezzo del mio tradimento? 

E di ciò che si sentì legittimato a dirmi, in un ultimo disperato tentativo di distruggermi visto che non poteva avermi?

Alla fine, quel che non ammazza ingrassa. E sicuramente ho provato a me stessa una grande resistenza.

Tutta questa serie di eventi nel bene e nel male mi ha portato gradualmente a isolarmi completamente da quel mondo in cui lui era presente, a rallentare, a fermarmi. Pensai non sarei sopravvissuta allo schifo che mi era stato buttato addosso...invece stavo solo prendendo consapevolezza della psicologia delle relazioni umane e di me stessa.

Non ne potevo più dei pettegolezzi, dei pregiudizi, delle voci che mi arrivavano sul mio conto. Avrei forse superato indenne questa merda se avessi fatto finta di niente continuando a frequentare tutti come un tempo dimostrando che non era certo lui a gestirmi né io l'ultima a tradire o semplicemente a sbagliare. Ma avevo il vomito di lui e di chi diceva bene di lui e di tutti quei tristi pettegoli giudicanti. E forse chiudermi è stata la mia salvezza.

Da quel momento ho cominciato a lavorare su me stessa con grande determinazione trascurando, è vero, lo sport, ma ricercando altrove dentro di me le mie risorse. Da una parte il mio corpo rallentava e dall'altra mi opponevo a quel rallentamento perché fino a quel momento era stato il movimento a garantirmi la salvezza. Ma in quel tempo rubato allo sport ho scoperto chi sono, cosa voglio, quali sono i miei doni e non posso che esser grata per tutti i miei errori. 

Lascio agli altri il piacere perverso di giudicarmi male; ora lo so che lo fanno perché sono piccoli, fragili, insicuri ma, soprattutto, inconsapevoli. E pure un po' umanamente minuscoli alcuni. Io ora posso solo amarmi e volermi bene con tutti i miei difetti.

Oggi non mi dispiace più rimanere da sola con me stessa. Sono felice anche quando sono ferma perché ho moltissimi sogni da realizzare anche da seduta. Quando mi sarò conosciuta abbastanza, sono convinta che riprenderò a muovermi stavolta nella giusta misura e a frequentare gli altri con più disinvoltura.


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