18 maggio, 2018

PARADISO PERDUTO

Leggo: "Il neonato ricerca la sicurezza del paradiso perduto intrauterino...".

E poi: "L'assenza del genitore attiva la creatività del bambino che, gradualmente, diverrà sempre più autonomo...".

Poi ripenso a quell'altra cacciata da un paradiso (il giardino dell'Eden citato nella Bibbia) quella da cui ebbero origine tutti i nostri 'guai'... o, più correttamente, da cui ebbe inizio la vita vera, con le sue gioie e i suoi dolori: crescere come esseri umani e lasciare a brucare, in quella condizione di inconsapevolezza, le mucche, le pecore e le galline.

L'uomo -a mio avviso- è stato cacciato dal paradiso terrestre perché concepito fin dall'inizio per andarsene. Forse Dio, immaturo e poco pratico di relazioni, in qualità di genitore single con una fissazione alla fase dell'onnipotenza, non ne era consapevole e, per questo, ha inevitabilmente proiettato sui suoi figli le proprie aspettative, le proprie paure, senza accorgersi delle loro potenzialità -da valorizzare e approfondire- e delle loro debolezze -da comprendere e sostenere-: l'intraprendente Eva, così intelligente e sanamente curiosa, e l'iperadattato Adamo, così insicuro e privo di iniziativa... 

Uno scarto che ha segnato per sempre l'umanità.

Dio, così invischiato con i propri figli da non riuscire a concepire di lasciarli andare e da crescerli come animali da cortile, abdica al proprio ruolo educativo e impartisce leggi contro natura, frustrando esageratamente e soffocando la loro creatività; ma i figli, altro da Sè, se ne vanno comunque, senza la sua benedizione, o meglio, con le sue maledizioni e con una grave colpa con funzione di zavorra emotiva: quella di non essere stati amabili così com'erano e per questo condannati all'esilio, al fallimento e alla sofferenza. 
Le vere sembianze di Eva (a sx) e Adamo agli occhi di Dio.

Quanti genitori, dalla notte dei tempi a oggi, sullo stesso modello autoritario, hanno ricattato moralmente, maledetto o rinnegato i propri figli nel disperato tentativo di farne un proprio prolungamento anziché individui autonomi?

Ebbene, il peccato originale, che continuiamo a ripetere, è stato quello di proiettare sui propri figli le proprie aspettative. Ma non è tutto: i figli sono inoltre portatori del trauma originale di non essere stati amati per ciò che erano e di non essere stati rispettati come individui autonomi e, insieme al trauma, hanno pure la colpa di essere la causa unica di tutta la propria sofferenza.

Sembrerebbe una profezia autoavverante...

Perché questa storia delle proiezioni è esattamente ciò che ancora oggi impedisce all'umanità di convivere pacificamente, nel rispetto di sé stessi e degli altri.

Il conflitto ha sempre a che fare con un dolore profondo; non a caso, appena si riceve affetto e riconoscimento, cade la motivazione alla guerra. L'affetto infatti fa da schermo, da anticorpo nei confronti della cattiveria che riceviamo, e ci protegge, impedendoci di reciprocare. 

Finché saremo orfani di amore e di rispetto, ed esiliati dal paradiso, non potremo mai stare bene insieme.

Quindi, la verità innanzitutto: non siamo stati esiliati dal paradiso perché cattivi e irriconoscenti, colpevoli di intelligenza e di sana curiosità, ma ce ne siamo dovuti andare proprio per poter crescere, conoscere, amare e -grazie a tutto questo- provare riconoscenza, gratitudine per il gesto originale di amore profondo ricevuto.

Purtroppo però, all'origine -si racconta- abbiamo ricevuto una pesante punizione per un comportamento assolutamente sano. L'equivalente di punire un bambino che, in fase orale, succhia gli oggetti che trova: possiamo evitare che succhi una nostra scarpa o le ruote del passeggino magari, ma non impedirgli una intera fase dello sviluppo per le nostre paranoie e ignoranze.

Evidentemente chi ha pensato l'Eden, deve aver sofferto nella sua vita extrauterina per un rifiuto, un abbandono e un esilio; deve aver portato la colpa di non essere stato un figlio amabile e questa condizione deve esser stata comune a molti in passato.

L'Eden poteva soddisfare simbolicamente il proprio bisogno iniziale di fusione, poi quello di regressione e infine di contenimento affettivo; ma rimanere eternamente nel grembo materno equivarrebbe però a non differenziarsi affatto, a non conoscere e, in ultima analisi, a non poter amare.

Non bastano le punizioni di Dio e i suoi divieti a farci crescere e a farcelo amare. L'esempio è ciò che conta: amore, comprensione, accettazione e infine limite affettivo adeguato alle varie fasi dello sviluppo, promuovendo una graduale autonomia, sono ciò che ci permette di prendere consapevolezza e amare noi stessi e il prossimo. Non si può amare se non avviene prima la differenziazione dal genitore, la consapevolezza di sé e dell'altro come altro da sé.

Per fare ciò, durante lo sviluppo psicoaffettivo del bambino, prima di poter provare amore, rispetto e gratitudine, bisogna riconoscere che non siamo onnipotenti e che è qualcun altro a prendersi cura di noi. E per riconoscerlo dobbiamo differenziarci, allontanarci, diventare autonomi.

Dio onnipotente non è altro che il bambino in fase simbiotica; l'inconscio ha creato Dio a nostra immagine e somiglianza nella nostra fase più critica da superare indenni.

La religione cattolica è una opera d'arte preziosa che usa un linguaggio metaforico e simbolico per esprimere i bisogni inconsci di chi l'ha pensata; i seguaci proiettano a loro volta su quella opera il proprio bisogno inconscio insoddisfatto: per questo motivo ha così successo ancora oggi. 

Ma la religione, senza consapevolezza e capacità critica, può essere fonte di equivoci e manipolazioni.

L'equivoco originale è stato quello di associare una sana disobbedienza (ad un divieto impossibile da rispettare per vivere) alla colpa, una colpa che ci portiamo addosso irrimediabilmente per la stessa coazione a ripetere dovuta al mancato riconoscimento e che, per questo, ci costringe a fissarci in rituali sterili per evitare di fare del male a causa della inconsapevole paura dell'abbandono e del dolore di non essere stati compresi.

Abbiamo fondato una cultura intera sulla colpa, sul senso di colpa: una condanna se pensiamo che non è possibile esimersi dallo 'sbagliare' per crescere. Il senso di colpa, inutile e sterile, semplicemente ci blocca e ci impedisce di prendere consapevolezza delle contraddizioni dei nostri genitori e, successivamente, delle nostre. Non porta alla accettazione profonda e reale di noi stessi come esseri imperfetti e per questo in crescita continua. Ci fa sentire sbagliati fino all'assoluzione ma poi si ricomincia, cercando di schivarla solo per essere bravi. Ma bravo non significa necessariamente consapevole.

Proviamo a sostituire il concetto di colpa con quello di responsabilità, a ricordarci che sbagliando si impara e che si può chiedere scusa e imparare da un errore dovuto all'inesperienza. E cominciamo a conoscerci meglio: chi siamo, cosa proviamo, paure, fragilità, bisogni inconsci insoddisfatti, traumi; e a distinguere gli errori dai passaggi necessari per crescere: non è sbagliato a 6 mesi mettersi le cose in bocca, è necessario. Direste mai ad un neonato 'ma che problema hai che ti metti tutto in bocca'?

Difficile invece rimediare agli errori per totale inconsapevolezza. Chi uccide e depreda gli altri è una persona completamente inconsapevole che ignora quindi la ragione profonda che lo spinge a fare cose orribili agli altri.

Rivogliamo un fantomatico paradiso ma il paradiso è dentro di noi, localizzato nella consapevolezza profonda di noi stessi e, per questo, non serve inseguire sempre e solo il piacere o morire per riaverlo.

Inoltre non siamo stati così cattivi da meritarci di soffrire fin dall'inizio: la sofferenza, semplicemente, fa parte della vita. Ma possiamo vaccinarci dalle sue conseguenze terribili (la rabbia proiettiva e i conflitti che ne seguono): la cura per la sofferenza provata è la consapevolezza di noi e il vaccino, da fare quando siamo molto piccoli per evitare i conflitti armati, è l'affettività.

L'idea di poter evitare di entrare in contatto con la propria sofferenza profonda, assicurandosi continuamente piacere ed edonistico godimento, è basata sulla paura e l'insicurezza rispetto alle proprie risorse a causa di una profonda fragilità emotiva. 

Ma l'asticella del piacere sale sempre e cosa succede se un giorno veniamo frustrati? Basta leggere i giornali.

Andate da uno psicoterapeuta, fate Psicomotricità Relazionale, insomma, reagite! La vera lotta alla criminalità parte da dentro di noi, stanando e prendendoci cura di quel piccolo incompreso che è il nostro dolore profondo.

E poi, sentite questa: l'uomo nasce buono mentre cattivo ci diventa se non capisce come sono andate veramente le cose! Il peccato originale è una storia come altre per tentare di dare un senso alla terribile sofferenza che ci capita di vivere... per non sentirci così soli, privi di senso, spauriti e abbandonati. Basterebbe essere amati e rispettati per quello che siamo per impedirci di diventare cattivi. 

Ma che cosa vuol dire allora amare e rispettare visto che in così tanti sono sicuri di farlo e non si spiegano come mai i figli si drogano, ammazzano, si e li ammazzano?

Leggiamoci Alice Miller per iniziare a capirlo: Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé.

Ho cercato qui di spiegare quello che ho capito io del mondo... e dei nostri politici, ad esempio...

Intanto grazie di avermi letto.

Ps: In origine Adamo era femmina come lo sono tutti i maschi le prime 6-8 settimane di gestazione/creazione. Quindi piantiamola con quella storia patetica della donna creata dalla costola dell'uomo. L'uomo è stato creato da una 'costola' della donna e sarebbe ora che se ne facesse una ragione, che cominciasse ad elaborare la fatica di differenziarsi e si autorizzasse a piangere per la propria difficile condizione!




-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Nessun commento: