13 settembre, 2018

EQUIVOCANDO ALLEGRAMENTE

- 'Avrio... catalaves?', 'Avrio... catalaves?', 'AVRIO... catalaves?'.
'Italiani-greci, una faccia, una razza'... per fortuna, così possiamo gesticolare con grandi risultati e il resto disegnarlo sui sassi per capirsi. 'Avrio' è stata la parola che tra tutte ho compreso per prima e con una discreta sicurezza grazie al gesto di accompagnamento di mano e braccio condiviso tra i nostri due popoli. Per il resto delle nostre conversazioni, il senso dei
nostri gesti e delle nostre parole pronunciate ognuno nella sua lingua -con tono sempre più alto per capirsi meglio- è stato decisamente influenzato dalla nostra educazione e dalle nostre aspettative o preoccupazioni, con effetti abbastanza comici. 

[Tutto ciò mi ha fatto riflettere più in generale su come sia facile equivocare nonostante le buone intenzioni e su quanto possa essere difficile poi sdrammatizzare e riderci su piuttosto che cogliere il pretesto per pensar male, offendersi di qualcosa o litigare...]. 

Dei presenti, di volta in volta ognuno capiva una cosa diversa. Certo, l'argomento più o meno lo si centrava quasi tutti ma il senso poteva differire moltissimo. Come quando Fotis ci ha detto:

- 'Salite domani sulla cima della montagna, partendo intorno alle nove. Adesso non conviene, è brutto, c'è nebbia fitta, non si vede niente; domani mattina questo clima uggioso, grigio, che minaccia temporali non ci sarà e avrete una bella vista fino al mare'.

Semplice no? Questo sì, questo no, camminare, bello, brutto, è tutto riproducibile in gesti semplici e in disegni sui sassi inequivocabili. Chiunque avrebbe capito... 

Purtroppo però, alcuni di noi l'estate precedente in Norvegia avevano fatto 30 giorni di pioggia fitta senza soluzione di continuità. Quest'anno poi, appena arrivati in Grecia -meta scelta per la sicurezza del tempo secco, assolato e normalmente stabile, soprattutto nella formula viaggio itinerante-, han preso subito improbabili nubifragi per chilometri e chilometri. Sentendosi perseguitati dalla sfortuna e profondamente sconfortati, sono fuggiti a gambe levate dalle vaste zone che il meteo indicava colpite dalle perturbazioni, verso quell'unica zona a un giorno di viaggio che prometteva alta pressione. Così per loro, quei gesti hanno significato senza ombra di dubbio: 'Salire sulla montagna non conviene; adesso c'è la nebbia e da domani, per circa nove giorni, ci sarà brutto tempo: piogge torrenziali e temporali senza tregua. Niente da fare, niente paesaggio'.

C'è voluto un po' ma alla fine ci siamo capiti.

Poi Fotis ci ha chiesto: 'Nerò'?

E uno di noi ha pensato subito al caffè, forse anche per l'astinenza, e l'altro ne ha dedotto allora che quello dovesse essere un invito a berlo: si sa che a rifiutare l'ospitalità è da maleducati e non volendo essere da meno, lo abbiamo invitato pure noi a bere un tè perché il caffè non lo avevamo. Solo che Fotis intendeva altro e decide di portarci a casa sua, lì vicino, per farci capire il senso in tempo reale e prima che ci cogliesse la notte. Aveva poi ancora da lavorare, lui: far su e giù a spostare pecore, prima a pascolare in alto, poi a bere alla fonte e infine a pascolare in basso; oltre a doverle mungere... una giornata-tipo da niente, ecco spiegato il telaio da atleta e le mani da scalatore.

Dopo aver riempito dei bicchieri di acqua, allungandoceli, dice: 'Nerò'. Acqua, ovvio.
Ci porge una tanica da portare con noi, tanto lui poi può andare comodamente a riempirne altre alla fonte, a giusto quel paio di chilometri di sentiero a piedi, tanto non ha niente da fare tra una cosa e l'altra... Gentilmente rifiutiamo, siamo attrezzati con taniche simili e carichi di acqua alla macchina.

[Da qualche parte del mondo l'ospite, anche se inaspettato e sconosciuto, evidentemente è ancora considerato sacro. Non molto prima, su un muro di una città greca avevamo letto: via i turisti, benvenuti gli immigrati. Originale nel suo genere ma, come per ogni cosa, un pensiero escludente fa un po' impressione e ti chiedi come ti accoglieranno in generale... anche i turisti sono poi persone come le altre, come gli immigrati e noi ne siamo l'evidenza per entrambe le categorie. 

C'è sempre un motivo per pensare male degli altri ma l'errore è convincersi che il proprio livore sia il sintomo di un disagio fondato esclusivamente su una causa esteriore a noi stessi, soprattutto se questa causa esteriore diventa un obiettivo facile da colpire perché indifeso. Altra storia è indagare e affrontare i motivi personali, che so, i mancati riconoscimenti, l'invidia, la rabbia accumulata e repressa da tutta una vita verso genitori, fratelli, colleghi... roba che richiede un lavoro importante da fare su sé stessi. Vuoi mettere il piacere di sentirsi rapidamente liberati, potenti sugli altri tanto quanto ci sentiamo impotenti rispetto a noi stessi? Pure io detestavo i turisti quando prendevano d'assalto le mie zone e diventava impossibile andare al mare e venivo trattata da turista da quegli sciacalli dei miei conterranei. Facile, davvero facile diventare intolleranti... ognuno a modo suo!].

Ad ogni modo, i pastori, in Grecia come altrove, e persino altri turisti greci con noi sono stati spesso accoglienti, molto ospitali e generosi: ci hanno invitati a dormire a casa loro piuttosto che pensarci arrangiati in macchina e ci hanno offerto cibo porgendocelo in modo impossibile da rifiutare.

Fotis, tra i pastori incontrati fin lì, è stato indubbiamente il più simpatico. Si è fermato volentieri più volte in quei giorni a chiacchierare nonostante le difficoltà di comunicazione; ogni tanto alzavamo la voce su una parola perché ci sembrava così universalmente familiare anche se in un'altra lingua, ma nessuno si è mai spazientito o sconfortato, anzi, ci siamo divertiti come i bambini a tentarle tutte per capirci, soprattutto facendo i disegni. E abbiamo riso un sacco. 

Fotis ci è parso un pastore davvero singolare: un uomo sui quarant'anni, socievole, con un corpo asciutto, scattante e abbronzato, vestito con una camicia stirata e dei jeans -se pur sgualciti dal lavoro- e che profumava di sapone. 

La sua baracca-alpeggio, praticamente una stanza in cemento col tetto di lamiera, era la più bellina della montagna: fuori aveva coltivato fiori bianchi dallo stelo lungo e altri più piccoli ma molto colorati e lì in mezzo aveva una poltroncina di vimini all'ombra dell'unico albero nel raggio di chilometri.

La prima sera lo abbiamo incontrato vicino a casa sua. Stavamo guardandoci in giro, non c'era nessun altro. Nel vederci è rimasto un po' interdetto: non è propriamente una meta turistica la sua montagna! Così deve aver pensato ci fossimo persi o fossimo solo di passaggio ma è sembrato contento di averci ospiti da quelle parti.

Il famoso mattino del giorno dopo, alle nove iniziamo a salire: come predetto c'è il sole e la vetta ci regala una vista limpida fino al mare. Incontriamo Fotis che saltellando come un grillo da prima dell'alba viene a salutarci e a fare due chiacchiere. Vedo che nel taschino della sua giacca -notare la finezza- tiene dei fiori di Sideritis, la pianta con cui si fa il tè greco di montagna o tè del pastore. Gli chiedo dove la posso trovare, se è il momento giusto di raccoglierla e se si può prendere. Facciamo la solita confusione. Alla fine capisco che quello è un Parco e che se la raccogli devi nasconderla sotto la giacca. Così lascio perdere.

Solo giunti nuovamente alla macchina alla sera afferro finalmente il senso delle sue parole e dei suoi gesti. Con quello di infilarsi qualcosa dentro alla giacca voleva solo dire che lui quella pianta la trova ovunque sulle sue montagne quando è fuori al pascolo e che la raccoglie passando. Diciamo che la mia interpretazione era stata influenzata dalla realtà da cui provengo... 

Appeso allo specchietto della macchina troviamo un sacchetto pieno di Sideritis! Per ringraziarlo e contraccambiare l'ospitalità, gli prepariamo una frittata per cena prima di salutarci e andar via e gli lasciamo un bigliettino fatto di disegni: la nostra macchina, le nostre caricature, la montagna con la nebbia e il giorno dopo col sole, i fiori, le pecore e tanti sorrisi.

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