09 marzo, 2021

SEMAFORO ROSSO

Da bambina, ad un semaforo, chiesi a mia madre che stava guidando per andare a trovare una sua amica: 

- "Perché il semaforo rosso è rosso?".

Lo domandai curiosa, come folgorata da una domanda fondamentale, mentre osservavo il semaforo in tutto il suo fascino, in attesa di ripartire.

- "Perché ci dobbiamo fermare per dare la precedenza alle altre macchine", fu la sua risposta, certamente pratica, razionale e sbrigativa.

- "Sì, ma perché rosso?"

-"Non capisco cosa dici, cosa vuol dire, cosa stai dicendo!!!". Risposta con increspatura disperante, testimonianza stavolta di una madre provata.

-"Perché rosso? Perché si chiama rosso?", domandai io, dispiaciuta di non riuscire a spiegarmi ma ancora curiosa di sapere, al punto da insistere a domandare senza accorgermi del pericolo imminente. 

Mentre mi accingevo a formulare meglio il mio difficile interrogativo, tutta concentrata sulle parole da usare, in un attimo la macchina, mia madre, io, tutto esplose.

Ancora una volta ero riuscita a fare del male senza capire come. 

Tra urla, grida e colpi, mia madre girò a sinistra, riformulando la destinazione: doveva urgentemente portarmi a casa per picchiarmi prima che la sua furia scemasse.

Era esplosa eppure continuava a guidare mentre mi colpiva senza successo perché troppo lontana e si dimenava sul sedile in preda ad una furia violenta e implacabile. Un evidente esempio di persona multitasking, capace di domare una bestia come me mentre contemporaneamente osservava il semaforo diventare verde (non chiesi mai perché verde), svoltava, seguiva la strada, parcheggiava.

Doveva arrivare a casa alla svelta, prima che la mia stupidità e la mia stronzaggine la facessero ammalare. Colpirmi violentemente funzionava sempre, dopo guariva e tornava quella di prima. 

Dopo una certa età, quella in cui si smette di sfidare i genitori, mica alla ricerca della separazione e della identità di genere come dicono oggi, ma per diaboliche intenzioni malefiche, la terapia della mia povera mamma funzionò ancora meglio e la bestia fu domata, almeno fino all'adolescenza. Per precauzione mi colpì ancora e ancora, a volte preventivamente. Io non capivo, ma lei sapeva con chi aveva a che fare.

Presi atto che, non solo dovevo essere scema perché facevo domande idiote, ma pure stronza, perché insistevo, con evidente intenzione maligna di tormentarla anche dopo che già avevo avuto una risposta.

Da bambina ero una ingrata. Se mi avessero conosciuta, certi teorici della pedagogia che andava di moda una volta avrebbero potuto scrivere un libro sul mio caso e intitolarlo: "La maledetta bambina ingrata", spiegando alle famiglie come individuare in tempo i primi segni diabolici e come prepararsi a domare un tale essere immondo, prima che si mangi il cervello dei suoi stessi genitori o li faccia ammalare.

Ero dunque una bambina malvagia, con poteri oscuri, tipo quelli degli stregoni, e di cui non avevo assolutamente il controllo.

Invece nessuno mi ha mai studiata, nessuno ha scritto un saggio, o anche solo un articolo scientifico sulla mia pericolosissima condizione.

Non solo, anni dopo, fior fiore di scienziati, evidentemente matti, scrissero addirittura "Il bambino filosofo", farneticando sulla preziosissima curiosità dei bambini e il senso profondo del loro incomprensibile modo di conoscere il mondo. 

Nessuno, dunque, era stato informato del potere malefico mascherato da curiosità di certi bambini diabolici come me.

Roba da matti. Se mia madre lo leggesse, certamente andrebbe fuori di testa, poverina.

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3 commenti:

Elena Toni ha detto...

Dovrai imparare a conviverci, mi spiace tanto dovertelo dire, ma sembri giovane e prima te ne fai una ragione e prima starai bene: è successo e non puoi farci niente, non si guarisce mai dall’abuso di una madre, cerca però di ricordare sempre che ogni volta che ti sentirai inadeguata non sarà una sensazione giustificata, è solo tua madre che ancora come un’ombra nera cerca di farti credere che non sei abbastanza. Non crederci. Ti abbraccio

Olivya ha detto...

Grazie Elena della tua testimonianza e dei tuoi incoraggiamenti. Parole preziose le tue, che sento arrivare al cuore. Questo blog mi serve proprio per elaborare, sublimare, depositare e condividere finalmente qualcosa che troppo a lungo è rimasto inascoltato: un dolore che accomuna molti di noi ma che, non nominato, genera un sentimento di solitudine. Grazie di cuore.

Pillola72 ha detto...

Mi manchi
♥️