07 settembre, 2017

FUGA DA ALCATRAZ

Sono cresciuta in una città della costa tirrenica. D’estate, quando non riusciva ad andare via col suo uomo, mia madre mi portava con sé al mare.
Il suo posto preferito era una remota spiaggia di ciottoli dell’isola P., all’epoca raggiungibile con un guado o inerpicandosi dall’attracco su per un esposto sentiero.
Partivamo col primo barcone del mattino e rientravamo con l’ultimo. Arrivavamo che c’erano solo i gabbiani e non è che dopo arrivasse poi molta gente: 8h di noia assicurate per una bambina abbandonata a sé stessa fin da piccola, che aveva paura dell’acqua e che non aveva melanina. In quelle occasioni mi venivano fatte poche raccomandazioni perché una volta rimasta da sola con le mie paure, sapeva che a badarmi sarebbe bastato l’istinto di conservazione. Non esisteva via di fuga da quel posto maledetto.
L’unico luogo riparato era la pineta ma per ovvie ragioni puzzava di merda così non mi addentravo mai troppo. Talvolta mi addormentavo rimanendo al sole troppo a lungo e tornavo a casa ustionata, con un mal di testa feroce e mia madre che mi insultava.
Raggiunta l’età per stare in casa da sola, dissi finalmente addio ad ‘Alcatraz’. Riscoprii con gioia il mare molto dopo.

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